Uno stato che vieti alla coppie sterili – come prevede la nostra legge 40 – di ricorrere alla fecondazione in vitro, non commette alcuna violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. A stabilirlo è stata la Grande Camera della Corte di Strasburgo (dei Diritti dell’uomo, appunto); che ha ribaltato una sentenza emessa 19 mesi or sono dall’altra delle due Camere della Corte. Oggetto della decisione, il ricorso di due coppie austriache che, nel 2000, si erano rivolte a Strasburgo sostenendo che la propria legge nazionale ledesse il loro diritto a formare una famiglia e che le discriminasse rispetto alle altre coppie. Come agirà, adesso, la nostra Consulta? Secondo Marco Olivetti, professore di Diritto costituzionale dell’Università di Foggia interpellato da ilSussidiario.net, «con ogni probabilità, deciderà sulla questione entrando nel merito».
I supremi giudici dovranno esprimersi in seguito alla richiesta dei tribunali civili di Firenze e Catania (mentre quella del tribunale di Milano attende di essere recepita) di sentenziare in merito al ricorso di due coppie sterili che vorrebbero utilizzare, per avere un bambino, il materiale genetico di un donatore esterno. «Se la corte europea avesse confermato la sentenza della Camera che si era espressa in prima istanza – spiega Olivetti -, la Consulta italiana avrebbe trovato sulla propria strada un percorso fortemente indirizzato verso la dichiarazione di incostituzionalità delle norme che vietano l’eterologa nel nostro ordinamento; in tal caso, invece, tale situazione non è obbligata».
Ragionando sul contenuto della sentenza, aggiunge: «afferma, in sostanza, che la legge austriaca, in effetti, pone delle limitazioni alla vita privata familiare; dice, altresì, che gli Stati membri godono di un ampio margine d’apprezzamento sul modo in cui contemperare il diritto alla vita familiare privata e altre esigenze. Ovvero: possono, secondo i propri ordinamenti, bilanciare li valore della vita privata familiare e la tutela del nascituro che sta dietro il divieto di fecondazione eterologa». Significa, in pratica, che «non vi è alcun diritto sancito dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo da cui si possa desumere la necessità di dichiarare il divieto contenuto nella legge italiana incostituzionale per violazione indiretta dell’articolo 117 comma 1 della Costituzione». 



A questo punto, andrà chiarito se il divieto sia incostituzionale per il nostro ordinamento interno. «Personalmente – conclude – dubito che la precedente giurisprudenza offrirà alla Corte argomenti sufficienti per giungere ad una dichiarazione di incostituzionalità».

 



(Paolo Nessi)

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