Con la pubblicazione in Gazzetta del decreto dell’Aifa (Agenzia italiana del farmaco), la settimana scorsa, si è concluso il percorso italiano per la commercializzazione della “pillola dei cinque giorni dopo”, la EllaOne, che sarà in vendita nelle nostre farmacie fra 4-5 mesi. Una pillola controversa, perché pur funzionando in modo del tutto analogo a quella abortiva Ru486 è stata registrata in Europa come contraccettivo, nella categoria bugiarda della “contraccezione d’emergenza”, un’espressione ambigua che nasconde aborti possibili, ma mai verificabili. In base a un parere positivo dell’Ema (l’agenzia di farmacovigilanza europea), la Commissione europea ne ha consentito la diffusione nei 27 paesi dell’Ue, attraverso la procedura centralizzata, che non prevede un esame del farmaco da parte delle singole nazioni, che hanno potuto decidere solamente le modalità di accesso al prodotto.



A fronte di tante polemiche, e di richieste al governo di intervenire per impedire l’ingresso in Italia di EllaOne, è bene quindi chiarire ancora una volta che, con le attuali normative, quando viene approvata la commercializzazione di un farmaco con procedura centralizzata, come in questo caso, nessun governo nazionale può intervenire per impedirlo. Per capire: chiedere al governo italiano di intervenire per non commercializzare un prodotto approvato all’Ema con procedura centralizzata, equivale a chiedere a un presidente di una regione di non commercializzare un prodotto autorizzato a livello nazionale. E d’altra parte, da alcuni anni in Italia non è il ministero della Salute a occuparsi di autorizzare e monitorare farmaci, ma l’Aifa, un’agenzia indipendente. La politica è estromessa da questo settore.



Uno spunto in più di riflessione, in un periodo in cui si invocano i cosiddetti “tecnici” aspettandoci da loro chissà quali effetti salvifici rispetto alla politica: dobbiamo essere consapevoli che ogni volta che una competenza viene tolta a istituzioni politiche e data a organismi tecnici “indipendenti”, nazionali o, peggio ancora, internazionali, poi è difficilissimo intervenire nel merito. Gli organismi tecnici e burocratici non rispondono direttamente ai cittadini, ma a logiche interne e di settore, e non per cattive intenzioni di chi ne fa parte, ma proprio per il modo in cui sono progettati e costruiti. Qualsiasi Authority, per definizione, è indipendente dalla politica.



La Ru486 è stata il primo e sarà sicuramente l’ultimo farmaco esplicitamente abortivo: le polemiche non aiutano le vendite, in questo settore. Con EllaOne l’aborto è incerto, mai verificabile e tantomeno lo si potrà quantificare, e per i contraccettivi non ci sono leggi da rispettare, di solito: la vendita è libera. La strada è definitivamente segnata: senza più confini fra contraccezione e aborto, una pillola vale l’altra. Funzionano tutte, purché presa ognuna al momento giusto – una prima del rapporto sessuale, altre poco dopo, altre ancora dopo un po’ – e a distinguerle saranno solo gli effetti collaterali. Con un disastro educativo, oltre che sanitario: se l’aborto e la contraccezione si confondono, il giudizio ne esce indebolito, e la prevenzione diventa quasi impraticabile.

Le leggi, a quel punto, regoleranno solo gli aborti tardivi, perché le pillole della “contraccezione di emergenza” non rientrano nella 194 – perché non è possibile formulare un certificato di gravidanza quando c’è un embrione formato ma non annidato in utero, visto che non esistono test in grado di accertarne la presenza – e l’obiezione di coscienza non sarà più un problema. Ci penseranno le donne, da sole, a procurarsi la pillola giusta, con grande sollievo dei compagni-partner-fidanzati-mariti.

Dobbiamo essere pronti ad affrontare l’aborto che cambia, quello nascosto e incerto, consapevoli di avere pochi strumenti a diposizione. Primo: è importante che venga osservata la richiesta di test di gravidanza negativo, per avere la prescrizione di EllaOne. Come già detto, attualmente nessun test è in grado di verificare la presenza di un embrione formato ma non ancora annidato in utero. Ma quelli precoci a disposizione possono evitare che la pillola sia presa da donne con una gravidanza iniziale, di una-due settimane, per la quale ancora non c’è il ritardo del ciclo. E, inoltre, la richiesta di un test da eseguire in laboratorio veicola un messaggio di attenzione, di una pillola che va presa con precauzione, non di un farmaco immediatamente disponibile sullo scaffale, su semplice richiesta. Nella pratica, il ricorso a un test di gravidanza più serio, cioè che non si può semplicemente comprare in farmacia, ma che bisogna fare in laboratorio, potrà contribuire a evitare “l’abuso del fine settimana”, che costituisce ormai un fenomeno preoccupante soprattutto per le minorenni.

Secondo: è necessaria una produzione scientifica importante sia qualitativamente che quantitativamente, per poter argomentare – nelle sedi adeguate – gli effettivi meccanismi di funzionamento di questi contraccettivi “post-concezionali”. La battaglia, per essere efficace, va fatta all’interno delle società scientifiche e nei convegni nazionali e internazionali di settore.

Terzo: in parallelo, è necessaria un’informazione corretta, soprattutto ai giovani, nel territorio, possibilmente all’interno dei consultori pubblici, ma anche nell’ambito dei progetti di educazione all’affettività che possono essere proposti alle scuole (dove ormai entra di tutto). Un’informazione che non significa un elenco di notizie, pur corrette, ma un vero e proprio percorso educativo, innanzitutto alla responsabilità dei rapporti interpersonali.