Angelo Stazzi, infermiere della casa di riposo Villa Alex di Sant’Angelo Romano, accusato di aver ucciso con dosi letali di insulina sette pazienti. I fatti risalgono al periodo compreso tra il gennaio e l’ottobre 2009, ma Stazzi si trova già in carcere. L’uomo infatti è stato condannato per aver ucciso una collega, con la quale sembra avesse avuto anche una relazione, in seguito a una lite per alcuni milioni delle vecchie lire. Ciò nonostante lo Stazzi ha ricevuto una ordinanza di custodia cautelare in carcere per la morte di sette pazienti che, secondo l’accusa, sarebbe stata provocata dallo stesso infermiere iniettando loro farmaci che abbassavano le difese provocandone la morte, in particolare dosi letali di insulina. La svolta nelle indagini sul caso sospetto (cinque uomini e due donne deceduti in tempi brevi uno dall’altro e nella stessa clinica) grazie ad alcune intercettazioni telefoniche. Se fosse davvero lui, Angelo Stazzi diventerebbe un nuovo “angelo della morte” come la cronaca in tempi recenti ci sta abituando, sorta di giustizieri che decidono la sorte dei loro pazienti in casi di eutanasia estrema. Secondo il professor Luciano Eusebi, professore ordinario di Diritto penale all’Università Cattolica di Piacenza, intervistato da IlSussidiario.net, “siamo davanti a una emergenza educativa forte”. Spiega infatti Eusebi che “viviamo oggi in un clima che non lascia più percepire il valore di una esistenza in condizioni precarie perché si dà valore solo all’efficenza. Un clima dunque che può favorire distorsioni, derive pericolose in persone particolarmente fragili”. La persona incriminata di aver ucciso sette pazienti è infatti sospettato di essere un autentico serial killer, un personalità con evidenti disturbi psichici anche alla luce del precedente omicidio, quello della collega infermiera: “Sembra davvero la vicenda di una persona  che ha qualche cosa che non va di suo” concorda Eusebi. “Si potrebbe dire del rischio effettivo che una scarsa sensibilità sul valore esistenziale dei soggetti che si trovano in grande condizione di precarietà psichica come questa persona, possa favorire derive di questo genere, che naturalmente vengono prioritariamente coltivate da soggetti più deboli, più predisposti”. Un caso che, seppur non di appartenenza ideologica, sottolinea una situazione allarmante: “Personalmente non tenderei a dare a questa vicenda un valore emblematico che essa non merita. Naturalmente pur essendo il risultato della vicenda stessa altamente drammatico, siamo davanti a una personalità mentalmente disturbata”. Che però si è trovata a operare professionalmente a contatto quotidiano con dei malati e dalla quale ci si aspetta assistenza, non morte: “Sottolinerei infatti la necessità della formazione al rapporto con il malato e al valore delle condizioni esistenziali deboli per tutti coloro che si trovano in tali ambienti professionali. Questo è un punto cardine della formazione, certamente se ci fosse stata una  programmazione lucida e ideologica ci sarebbe da esserne maggiormente preoccupati”. Il professor Eusebi concorda nel ritenere che un certo clima che si respira oggi possa influenzare in modo negativo personalità particolarmente fragili: “Cè un collegamento con la realtà del dibattito sull’eutanasia, ma è una situazione che va gestita alla luce dell’esigenza educativa. Oggi si vive in un clima che non lascia più percepire il valore di una esistenza in condizioni precarie perché si dà valore solo all’efficenza. Un clima che può favorire derive di questo tipo”.



Conclude Eusebi: “Altresì, spesso è derivato il messaggio che quasi valorizza il comportamento di chi spontaneamente sceglie di liberare la società dal peso della propria tutela. Si tratta invece di dare un messaggio che valorizzi il significato sociale dell’accoglienza e anche il significato umano dell’affidarsi a un altro”.

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