Doina Matei è la ragazza rumena di 22 anni che il 26 aprile del 2007, al termine di una lite, uccise la giovane Vanessa Russo in una stazione della metropolitana di Roma infilandole un ombrello nell’occhio. Adesso, dal carcere di Perugia, dove sta scontando una pena di 16 anni per omicidio preterintenzionale, Doina Matei parla dopo aver vinto il secondo premio Racconti dal carcere Emanuele Casalini, grazie a un racconto in cui la giovane esprime tutto il suo dolore, il pentimento e le speranze per il futuro: «Quando tornerò nel mondo il mio primo appuntamento sarà nuovamente con la morte. – ha detto la giovane rumena – La prima cosa che farò sarà andare al cimitero di Prima Porta sulla tomba di Vanessa. Lo devo, lo voglio, voglio stare vicina al mio angelo custode, a cui un destino tragico mi ha unita per sempre». Ieri Doina era attesa al carcere fiorentino di Sollicciano per la cerimonia del premio letterario intitolato a Emanuele Casilini e sostenuto dalla provincia di Livorno e dal Salone del libro, ma non si è presentata. E’ stato comunque letto l’inizio del suo racconto: «Quando tornerò nel mio mondo…. Ma ancora senso fare dei progetti? Prima del 26 aprile 2007 ne facevo molti ero immersa nella realtà. Due figli da crescere la scelta del marciapiede in Italia per rimediare il necessario per garantirgli un’infanzia più decorosa della mia, tante umiliazioni che hanno svuotato la mia vita dalle illusioni ma che servivano a costruire il mio progetto: comprare una piccola casa per riunire i miei bimbi». Ma la reazione della famiglia di Vanessa non si è fatta attendere, ed è proprio la madre, Rita Pozzati, ad esprimere la sua rabbia e il suo stupore: «Non vogliamo che preghi sulla tomba di mia figlia. Lei ha ricevuto un premio, noi, invece, non siamo riusciti a ottenere un’ombra di risarcimento». «Ormai siamo soli e abbandonati», conclude la madre di Vanessa, impiegata all’azienda Atac della capitale, con un marito che invece non ha un lavoro fisso. E mentre i genitori di Vanessa si disperano, Doina Mattei scrive: «Non lo volevo questo. Non era mia intenzione, non volevo la morte di nessuno, ma è successo e devo pagare tra queste mura, pagare nella mia coscienza con un rimorso che non mi abbandonerà mai.



Ecco ha senso fare ancora dei progetti dopo che la vita mi ha sbattuto in faccia che i sogni non si avverano? Sognavo una casa per i miei figli e mi sono ritrovata in carcere con tutta l’opinione pubblica contro, chiamata con disprezzo “la prostituta rumena”, senza nessuno ad ascoltare il mio grido di dolore, la mia sofferenza, il mio pentimento per quella giovane vita che se ne è andata, senza nessuno a credere che non volevo uccidere, che non sono malvagia».

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