In fiamme la redazione del settimanale satirico francese “Charlie Hebdo”. Le bottiglie molotov con le quali è stato attaccato hanno causato un incendio che ha distrutto computer e gran parte degli uffici, provocando danni gravissimi. Per il direttore del giornale, che proprio ieri usciva in edicola con una vignetta dedicata al profeta Maometto in copertina, non ci sono dubbi: sono stati i fondamentalisti islamici. Il sito del giornale, poi, è stato colpito da hacker che lo hanno sabotato. Avevamo ricevuto minacce e messaggi di insulti via twitter e Facebook, ha detto ancora il direttore. Nello specifico, il numero della rivista era dedicato al referendum tenutosi da poco in Tunisia e vinto dal partito islamico. La vignetta del profeta era accompagnata da uno strillo che diceva “Sharia Hebdo”, un riferimento alla legge islamica e la frase: “Cento frustate se non muori dalle risate”. Non è la prima volta che Charlie Hebdo ironizza sull’Islam: lo aveva fatto nel 2006 pubblicando le famose vignette “blasfeme” a loro volta ripubblicate in Danimarca, e nell’occasione il consiglio francese del culto musulmano aveva chiesto il ritiro dalle edicole della rivista. Per il professor Abbruzzese, docente di Sociologia della religione nell’Università di Trento, raggiunto da IlSussidiario.net per avere un suo commento sull’episodio, quanto accaduto è un segnale molto preoccupante: “Ho paura che sia tardi, troppo tardi per un qualunque tentativo di dialogo con gli islamici” dice. “Quando vedremo il primo assassinato a Parigi? Temo che manchi poco”.



Professore, è la satira che ha esagerato, scegliendo un obiettivo che poteva essere evitato, il profeta Maometto, o è il fondamentalismo islamico che sta uscendo allo scoperto anche in Europa?

Direi certamente la seconda ipotesi. Charlie Hebdo è un settimanale satirico che fa satira politica a 360 gradi colpendo ogni tipo di obbiettivo. Non è la prima volta che fa satira sull’universo islamico, ricordo che alla fine degli anni 70 ai tempi della rivoluzione iraniana presero di mira l’ayatollah Khomeini. Ricordo perfettamente le vignette che ironizzavano sul fondamentalismo islamico. Il problema è che adesso si reagisce con la violenza quando allora c’erano altri tipi di risposta.



Un segnale dunque, una svolta?

Questo primato della violenza, come dimostra l’attentato al giornale, non può che essere un segnale preoccupante.

Ma davvero prendere di mira certi fenomeni come la religiosità altrui è comunque lecito?

C’è un elemento di fondo da mettere in chiaro: noi sociologi delle religioni, che stiamo attenti ai fenomeni religiosi e sappiamo quanto questi fenomeni siano delicati, dobbiamo distinguere, distinguere con attenzione. Cioè saper accettare e distinguere quello che può essere il normale disappunto che possiamo avere nei confronti di una satira  o verso cose che per noi possono essere molto care, da quello che invece è una reazione violenta che di fatto annulla l’altro e lo riduce a una categoria.



Ci spieghi meglio questo punto.

Il movimento islamico anche a Parigi aveva benissimo la possibilità di muoversi sul piano legale. Non hanno problemi di fondi, di risorse economiche, un’azione legale avrebbe creato un grande dibattito che sarebbe servito a presentare meglio le tesi degli islamici stessi. Sarebbe stato un momento di argomentazione, in qualche modo la cosa si sarebbe discussa; oppure, se anche non ci fosse stato il dibattito, ci sarebbe stata sicuramente una presa di posizione in tribunale e una affermazione di principi.

Invece che cosa hanno ottenuto con l’attentato?

Invece così si saltano tutti questi passaggi. Il messaggio dell’attentato è duplice: il primo messaggio dice non si fa ironia sul profeta, il secondo dice quando dobbiamo comunicare questa cosa non ve lo diciamo nemmeno, buttiamo le bombe. Attenzione, perché il secondo messaggio è  parallelo al primo. Se il primo può essere oggetto di discussione, essere cioè d’accordo o meno sui limiti della satira sui temi religiosi, il secondo invece, che comunque supporta il primo, è pericolosissimo. Pensiamo alla coltellata che ha ucciso il regista olandese Van Gogh. Sono sistemi che non solamente vogliono presentare l’intoccabilità dei principi religiosi, ma simboleggiano un’altra cosa: noi con voi non parliamo neppure, vi sterminiamo e basta.

Se il fondamentalismo islamico appare chiuso in se stesso, sembra che anche da parte di intellettuali ed esponenti politici occidentali non sia mai venuto un vero desiderio di dialogo, di confronto, o no?

Sicuramente c’è del vero in questa affermazione, e parecchio. Il problema del confronto con gli islamici da parte occidentale esiste: io non l’ho visto manifestarsi, non mi sembra di trovare in giro da parte dei nostri intellettuali un vero desiderio di confronto che vada al di là di semplici pacche sulle spalle nel caso si voglia blandire oppure di rifiuti abbastanza forti dall’altro punto di vista. Manca un dialogo di fondo: il punto preciso è che mancano punti di costruzione comune, mancano progetti comuni, condivisi.

E’ una cosa impossibile, questa, secondo lei?

Non è detto che sia impossibile: penso alla scienza, un campo dove si potrebbe benissimo collaborare insieme, ma mancano i momenti di contatto. Il più grande alimento dei movimenti fondamentalisti è sempre stato la mancanza di contatto, che permette la demonizzazione dell’avversario: non lo vedo, non lo conosco e lo posso dipingere nel modo più fosco. Bisogna smettere di fare retorica: ci vogliono momenti comuni di costruzione della casa, con realtà multiculturali, sono questi i momenti fondamentali del dialogo, quando cioè si lavora insieme a un progetto condiviso. Aiuterebbero tantissimo a disinnescare la miccia. Ci muoviamo molto tardi però: al punto in cui sono arrivati con attentati e minacce, c’è da chiedersi quando vedremo il primo assassinato per le strade di Parigi. Ci manca poco, la situazione è molto preoccupante.

In che misura quanto sta accadendo nei Paesi del nord Africa, protagonisti della cosiddetta primavera araba, può influenzare gli islamici che vivono in Europa? Intendo fatti come la vittoria islamica in Tunisi e l’annuncio della sharia in Libia.

Stanno prevalendo, in Nord Africa, o almeno si può dire che sicuramente sono presenti all’interno del mondo islamico, componenti di forte intransigenza che sicuramente mi pare di capire escano rinforzate da questi processi rivoluzionari. Non le vedo indebolite, la primavera araba si sta sbarazzando di personalità autoritarie che in qualche maniera sbarravano la strada non solo ai processi di democrazia e modernizzazione, ma anche ai movimenti fondamentalisti. Quanto accaduto a Parigi, questo tipo di contestazione è un segnale preoccupante in questo senso.