La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito che uno Stato possa legittimamente dichiarare la fecondazione eterologa fuori legge. Una sentenza della Camera Grande ha ribaltato le conclusioni cui era giunta, 19 mesi fa, l’altra Camera della medesima Corte. Nel 2000 due coppie austriache vi avevano fatto ricorso perché il loro Paese aveva vietato loro di ricorrere ad una forma di eterologa per poter avere un figlio. Gli aspiranti genitori avevano denunciato di sentirsi discriminati rispetto ad altre coppie che, invece, potevano accedere a tecniche analoghe.
Il governo italiano e quello tedesco avevano deciso di affiancare l’Austria di fronte ai giudici della Corte; la decisione dei quali potrebbe sortire importanti ripercussioni anche nel nostro Paese, dove si attende un pronunciamento della Corte costituzionale, in seguito al recepimento delle istanze dei tribunali civili di Firenze e Catania (si attende ancora che recepisca quella del tribunale di Milano). Vi avevano fatto ricorso due coppie, per l’impossibilità di accedere all’eterologa, vietata tout court dal nostro ordinamento. Abbiamo chiesto a Eugenia Roccella di commentare la sentenza.
Che valutazione emerge dalla decisione di ieri?
La sentenza accetta come criterio fondamentale il cosiddetto margine di apprezzamento. Ovvero riconosce che, in ambiti delicati come questo, gli Stati debbano avere autonomia decisionale; afferma, inoltre, che i diversi ordinamenti esistenti in materia non contrastano e non danneggiano il diritto a non subire intromissioni da parte dello Stato.
Come si è arrivati ad una tale formulazione?
La Corte ha fatto propria non solo la considerazione secondo cui il terreno in questione è estremamente delicato, ma anche, in parte, sconosciuto. Gli effetti, a livello scientifico e sociale dell’eterologa, sul lungo periodo, non sono ancora stati verificati. Anzi: ultimamente si sta assistendo agli sfaceli che ha provocato nel passato. Ed è giusto, di conseguenza, che i governi possano legiferare a seconda di quanto ritengono maggiormente opportuno. La Corte ha deciso, in pratica, di lasciare autonomia ad ogni singolo Stato nel valutare, ad esempio, se attorno a pratiche come l’eterologa vi sia consenso o se possano scaturirne ricadute sociali troppo gravose.
Cosa sarebbe accaduto se la Corte avesse confermato la prima sentenza?
Sarebbe cambiata la legge austriaca. E ci sarebbero stati effetti su tutte le leggi europee. Sia su quelle che vietano l’eterologa che su quelle che la vietano parzialmente. Ma la Corte ha ritenuto che non era suo compito far sì che tutte le leggi nazionali degli Stati europei dovessero omologarsi ad una sua sentenza. Anche perché, su questa materia, non ci sono principi condivisi, convenzioni o risoluzioni che vincolino gli Stati come nel caso della tutela degli embrioni. Né, tantomeno, indicazioni in tal senso nella Convenzione di Oviedo (Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina, ndr), che è vincolante.
Perché il governo italiano ha deciso di affiancare l’Austria contro il ricorso delle due coppie?
Il nostro governo, assieme a quello tedesco, ha deciso di appoggiare l’Austria – pur sottolineando le differenze, dato che lì, alcune forme di eterologa sono permesse – perché ritiene che i principi della legge 40 vadano difesi.
Quali sono i suoi capisaldi?
Le nostra legge si basa su alcuni principi razionali che sono, anzitutto, laici: il legislatore ha inteso far sì che le coppie infertili godessero delle medesime possibilità di quelle fertili; adottando, tuttavia, un utilizzo delle tecniche che non fosse troppo intrusivo rispetto ai meccanismi naturali e antropologici con i quali le coppie fertili giungono ad avere un figlio. E prendendo tali meccanismi il più possibile a modello. Per questo, il principio esclude l’eterologa.
Di fatto, cosa comporterebbe?
L’utilizzo di gameti esterni alla coppia, in natura, equivale al tradimento. D’altro canto, sempre in natura, non avviene neanche la selezione dei figli. Né la crioconservazione degli embrioni. Non è un caso che negli altri Paesi si stiano iniziando a verificare problemi derivanti da leggi che si pensava fossero più “avanzate” della nostra.
Ad esempio?
L’eterologa ha prodotto una lunga serie di complicazioni. Basti pensare alla marea di parentele non definite, all’impossibilità di mettere a punto, in certi casi, un albero genealogico, alle vertenze legali di quei figli naturali che reclamano l’eredità dai propri genitori biologici, ai donatori che si ritrovano con decine di figli o ai fratelli che non sanno di essere tali perché non sempre è stato possibile garantire la tracciabilità. E, infine, alla compravendita degli ovociti. Ogni antropologo, del resto, sa che forzare le reti di parentela – che fondano la base della comunità – produce sulla società ingenti danni.
(Paolo Nessi)