Ieri sono stato a Torino, ed era il giorno dopo Golosaria Milano: fra 10 giorni, o meglio il 20 e 21 novembre apriremo lì, alla Nuova Piazza dei Mestieri, la 12^ edizione di Golosaria, con altri magnifici produttori e con altri motivi per ritrovarci. Lunedì sera, sotto la pioggia battente, ho finalmente raggiunto Alessandria, la mia città, con i campi allagati dall’esondazione del Bormida. Alle 20, a tavola, come da tradizione, ho preso una mostarda mantovana da abbinare al Salva cremasco dei fratelli Carioni, quel formaggio stagionato che sa di latte appena munto. Poi Gino da Barbarasco, sopra Aulla, mi ha portato un vasetto di funghi sott’olio, mentre il titolare della Pasticceria Tabiano mi ha regalato la mitica focaccia di Tabiano. È stata la mia cena, che m’ha fatto ripercorrere le immagini di una tre giorni incredibile, dove si sono incontrate col gusto 12mila persone. Ma il quadretto che più mi ha colpito è stato quello di domenica pomeriggio quando sul palco ho chiamato le migliori macellerie d’Italia (Macelleria Puliani di Re – VB
• Macelleria Motta di Bellinzago Lombardo – MI • F.lli Rizzieri 1969 di Ferrara • Le carni by Marco Migani di Rimini • Norcineria-Macelleria La Villetta di Castel Gandolfo – RM) e tutti sono saliti con genitore e figlio. Un momento di orgoglio italiano che mi ha commosso, perché davanti alla pioggia battente di una crisi di cui ci dobbiamo convincere, c’è anche un mondo che ogni mattina alza la saracinesca, dopo una notte a lavorare, e come una goccia fa quello che diceva Péguy rispetto alla sedia ben lavorata. E questa moralità si trasmette, di generazione in generazione. Mi è venuto in mente la sera di venerdì, alla vigilia di Golosaria, quando ad Assago, Giulio Sapelli ha detto proprio quello che avremmo visto il giorno dopo, ossia che c’è sempre qualcosa che sfugge alle analisi economiche più raffinate ed è l’io che si risveglia ogni mattina e comunica il motivo per cui vale la pena andare avanti, anziché rassegnarsi. Io come lavoro faccio il comunicatore, e quando escono i miei libri (Il Golosario, la GuidaCriticaGolosa e Adesso) voglio fare vedere i volti della gente che produce a coloro che consumano i prodotti. Golosaria nasce così: e diventa un luogo.
Non si capirebbe altrimenti il motivo per cui Alfredo dall’Isola di Salina, autore di granite raffinatissime, sia venuto fin quassù, a Milano, per salire sul palco di Golosaria. Oppure la commozione di Antonio Pulcini che fa una Malvasia del Lazio strepitosa, di cui nessuno s’era mai accorto e che quest’anno è stata per noi il top dei top, ossia il vino più apprezzato tra i 100. La gente che lavora cerca un luogo, una trama di rapporti dove possa essere compreso il valore di ciò che fa. E viene a Golosaria, o nel Club di Papillon. Lunedì Dino Abbascià, una firma della frutta e verdura a Milano, era raggiante perché abbiamo inventato l’idea del cavolo (che il Corriere della Sera ha titolato “Non è un’idea del cavolo”). Ossia i negozi di prossimità che adottano un’azienda agricola ed ogni martedì vendono i prodotti di quella cascina. Ma anche i ristoratori possono fare altrettanto e lo chef Massimo Mentasti della Gallina di Monterotondo di Gavi ha raccontato del suo rapporto con Davide Zerbo dell’Azienda Agricola Zerbo di Gavi, che adesso gli produrrà le pesche di vigna e gli ortaggi giusti per fare quella cucina della distinzione e del territorio, che è la carta del grande successo del nostro made in Italy. Sono successe tante cose a Golosaria, nel segno di un sistema che vuole esprimere una positività. Il resto del racconto lo trovate in questi giorni sul sito www.golosaria.it, con un filmato, una sequenza di scatti e con l’appuntamento di Torino, dove dovete esserci, semmai vi foste persi l’appuntamento di Milano.