Caro Stefano Rodotà, su Liberazione del 27 novembre, in un’intervista in cui discute se esista una legge naturale, Lei scrive tra l’altro – per illustrare, credo, come i limiti naturali siano relativi – che da quando esiste la procreazione assistita “è possibile sapere se, quando e come procreare”. Mi permetto di non essere d’accordo con queste tre istanze. Detta così, sembra tutto rose e fiori – cosa che d’altronde Lei stesso riconosce dicendo “questo pone certamente un problema di limiti”; invece, la strada della procreazione assistita ha numerose incognite. La prima incognita riguarda proprio la certezza che con la Fiv si possa davvero decidere “quando procreare”; già, perché dopo una certa età la fecondazione assistita non funziona più, o comunque funziona poco, e l’ipotesi che con la Fiv si riesca a procreare “quando si vuole”, ohimè salta. C’è anche il rovescio della medaglia: se non si sta attenti a questa regola, si rischia di procrastinare la procreazione illudendosi che comunque “tanto c’è la Fiv”, e invece si resta a bocca asciutta. E con tanto rimpianto.



La seconda incognita sono i rischi legati alla Fiv (con la Fiv si può davvero scegliere “come” procreare?): per la donna i rischi da stimolazioni ormonali per produrre ovuli, e per il bambino un maggior tasso di prematurità, gemellarità e purtroppo anche di malformazioni sono dati che si possono ricavare da una semplice ricerca su un qualunque motore di ricerca medico affidabile, dunque sono verificabili, noti a tutti i medici. Certo, non significa che se fai la Fiv starai male o che starà male il bambino; ma il rischio c’è ed è maggiore della popolazione generale. Basta leggere il libro della caporedattrice dei servizi di medicina di France 2 (“Un bébé, mais pas à tout prix”), o le metaanalisi pubblicate dal Lancet (28 luglio 2007) e da Best Practice & Research (21 febbraio 2007). Dunque, si “sceglie come procreare”, o sarebbe meglio dire che “in certi casi ci si arrende all’evidenza e si ricorre alle tecniche mediche che non sono pari a zero”?



La terza incognita è proprio legata al tema della Sua intervista: esiste un comportamento “naturale”? Cioè è davvero una scelta neutra il “se procreare”? Ebbene, per me, nel mio mondo “naturistisco”, fare figli è naturale; scegliere di non farne è un’eccezione. Perché esiste nelle scelte biologiche un comportamento naturale: si chiama “ecologia”, e non è una cosa da bigotti, ma da scienziati. Proprio su questo tema scrissi assieme a degli ecologisti un libro intitolato “Ecologia della gravidanza” (Edizioni SEF), per spiegare che il corpo umano deve essere riscoperto nella sua interezza, e che ha delle regole. E la prima regola è che le ovaie e i testicoli stanno lì per procreare; come gli occhi non stanno lì per riempire le orbite, ma per ammirare il sole all’orizzonte o il volto di un’amica. Ma, infine, ci voleva la Fiv per decidere se procreare?



Gentile Rodotà, fa bene a criticare chi si arrocca dietro a una legge naturale e non dà ragioni, o chi ha la condanna facile e rifugge dai dati scientifici: sono entrambi errori madornali. Ma mi creda, analizzando la produzione scientifica degli ultimi anni, ci sono più studi e scoperte che rendono ragione di quello che la Chiesa afferma, di quante portino la nostra conoscenza in senso opposto. Il problema è di non arroccarsi, e accettare da entrambe le parti la sfida del reale; pronti a riconoscere le novità, i rischi e la bellezza di ciò che si scopre; e anche rispettare un limite: la vita umana (che sia un embrione o una ragazzina per la genetica poco cambia), che è un dato della natura, una certezza da non travalicare.