Le suore sono maggiormente soggette ai tumori a seno, utero e ovaie delle altre donne; non hanno mai avuto figli e hanno più cicli mestruali nel corso della loro vita di chi è diventata madre. E, allora, la rivista britannica Lancet propone, con immediata eco globale: perché la Chiesa non rivede le proprie posizioni, contenute nella Humanae Vitae sulla pillola anticoncezionale? E, avendo il farmaco la proprietà di diminuire i rischi, non ne consente o, addirittura, favorisce la somministrazione alle religiose? Contestualmente, in Italia si è riacceso il tormentone sull’Ici: la Chiesa deve pagarla, chiedono Pd, Popolo Viola, Radicali e, nel centrodestra, qualche scheggia impazzita dopo la caduta del berlusconismo, come la Polverini o la peones pidiellina, Gabriella Giammanco. Due episodi con due elementi in comune. Primo, la Chiesa è il soggetto della notizia. Secondo, non c’è alcuna notizia. Francesco D’Agostino, ci spiega perché.
Le risulta che l’Humanae Vitae vieti l’uso della pillola a fini terapeutici?
No. Secondo l’enciclica, laddove una sostanza utilizzabile come contraccettivo possa sortire effetti terapeutici (anche di normale entità, non è necessario pensare a questioni di vitae o di morte), il suo uso è lecito. Per esempio, la pillola anticoncezionale può essere impiegata dai ginecologi per stabilizzare il ciclo mestruale delle donne. Sino a quando, ovviamente, la patologia in questione è attiva. E’ caratteristica della bioetica cattolica argomentare in maniera non dogmatica, ma calibrata sulla realtà e sull’esperienza. Nel caso di un farmaco è irrilevante il suo uso tipico o commerciale. Gli oppiacei, ad esempio, consumabili come stupefacenti, possono altresì essere utilizzati come antidolorifici laddove il medico lo ritenga opportuno.
E’ tornata in auge la battaglia perché la Chiesa paghi l’Ici. Eppure, non la paga già, nei termini stabiliti dalla legge?
Esatto. Va detto, anzitutto, che per precetto costituzionale, lo Stato riconosce la Chiesa e l’identità cattolica italiana ed è tenuto a non operare prelievi tributari che ne possono limitare o ostacolare l’attività specifica. Esentandola, quindi, in tali circostanze, dal pagamento dell’Ici. Si tratta di esenzioni di cui gode, del resto, qualunque altro ente non profit o religione riconosciuta dallo Stato. Detto questo, gli edifici di proprietà di congregazioni o istituzioni religiose che hanno esclusiva funzione commerciale e non sono ricondotti all’attività propria delle Chiesa, invece, pagano regolarmente l’Ici. Non è il caso di tutte quelle costruzioni che possono avere, in misura non prevalente, attività commerciali ma che sono concepite per finalità ecclesiali.
Ad esempio?
Ci sono attività spirituali che non sono strettamente conventuali o direttamente riferibili a edifici di culto; finalizzate, ad esempio, all’accoglienza dei pellegrini, all’incontro tra comunità religiose o ad opere di volontariato esplicitamente contrassegnati dall’identità cattolica. Tali attività, anche se non sono esercitate da religiosi, ma da laici cristianamente motivati, fanno parte della funzione propria della Chiesa. Che, oltre che spirituale, è anche sociale.
Cosa intende?
Bisogna ricordare che tutte le attività delle Chiesa – come il volontariato, l’educazione, l’assistenza ai malati, agli indigenti o ai tossicodipendenti (in quest’ultimo caso, la maggior parte delle comunità di recupero sono motivate da solidarietà cristiana) – producono per lo Stato effetti economici vantaggiosissimi e raggiungono obiettivi che l’amministrazione pubblica non potrebbe realizzare. Non solo. Basti pensare, ad esempio: quanti turisti vengono a Roma perché c’è il Papa? Eppure, del turismo, è evidente che ne benefici esclusivamente lo Stato.
Crede che si possa parlare di attacco?
Sì. Del resto, per sua natura, la Chiesa è destinata ad essere attaccata e a rappresentare uno scandalo. Tanto più, in una società laicista, individualistica e utilitarista. Dove le sue finalità solidaristiche e relazionali appaiono ad alcuni talmente poco credibili che si proiettano sulle sue iniziative i sospetti dietrologici di chissà quali interessi occulti. Tanti intellettuale laicisti, di fronte ad alcune iniziative ecclesiali, vanno disperatamente e inutilmente alla ricerca di verità nascoste che sarebbero, ovviamente, ben poco nobili e schermate dietro la dottrina cristiana tradizionale.
Pensa che il sospetto dietrologico sia l’unica motivazione?
Ce ne sono altre: un atteggiamento facilmente riscontrabile è quello del cinico; che non avendo alcun valore non può ammettere che altri ne abbiano. Non credendo in niente, è convinto che chi affermi di credere in qualcosa sia un ipocrita. E attribuisce le carenze proprie agli altri. Ci sono poi le ragioni del mercato. Al quale la cristianità, spesso, sottrae possibilità di intervento. Ovunque è presente un’attività solidale, lì non c’è occasione di profitto. Non è un caso, che il progetto delle banche etiche si stia facendo spazio con grandi difficoltà.
Che ruolo attribuisce al cosiddetto potere in tale attacco?
Difficile dare al potere un contenuto preciso e definito. Sta di fatto che, a livello globale, la Santa Sede è un unicum e, a differenza della Comunità internazionale che consiste in un insieme di Stati che difendono legittimi singoli interessi, interviene nel dibattito – magari sbagliando, ma non è il punto – nel nome del bene umano; per cui, in un diritto internazionale che si concepisce come equilibrio tra rapporti di forza, anche questo rappresenta uno scandalo.
Come giudica l’atteggiamento di tanti cattolici che accettano acriticamente le accuse mosse contro la Santa Sede?
C’è un’ingenuità di fondo. Molti pensano che le iniziative caritatevoli in ambito cattolico vadano poste in essere senza che vi siano alla base motivazioni spirituali forti e un’istituzione capace di rafforzare tali convinzioni. Bisogna ricordare che la Chiesa si è dotata di personalità giuridica, leggi e strutture, per il semplice fatto che, da 2000 anni a questa parte, si è resa conto che la sua missione necessitava di un’istituzione.