Morte forse per avvelenamento. Questa la notizia che fa “accapponare la pelle” e che corre come una frustata dall’una all’altra agenzia. Perché, morte annegate o strozzate o per una pallottola farebbe la differenza? Veleno. Questa potrebbe essere la fine delle gemelline Schepps, rapite dal padre, fuggite ignare con lui, dalla Corsica verso il vuoto, che ha travolto lui e la sua follia di morte, lo scorso 3 febbraio. Chissà se han fatto a tempo a vedere il mare aperto, a sognare il guizzo della coda di un cetaceo, se qualcuno aveva parlato loro di balene e di pirati, di un mare grande che porta lontano. Chissà se hanno capito che il loro papà era il lupo cattivo, l’orco delle  fiabe che certamente avranno conosciuto all’asilo, dai nonni. In genere ai bambini si omettono i particolari delle storie più crude. Chi ha il coraggio di specificare che Pollicino, Hansel e Gretel, sono stati sacrificati dai genitori, accompagnati all’inferno per mano,  con una carezza, magari fingendo di fare il loro bene, di sottrarli ad una vita misera e infelice. 



La pietà verso i bambini significa troppe volte sopprimerli, e i grandi hanno sondato tutte le modalità di esecuzione, da quelle più cruente a  quelle chirurgicamente pulite. Avrà pensato, quel padre sventurato, che mai e poi mai avrebbero potuto crescere con una madre cattiva, da cui si era appena separato, che odiava. Avrà creduto, temendo di perderle, di cristallizzare per l’ultima volta  il loro sguardo innocente e poi chiudere gli occhi,  per non dover reggere un ricordo insopportabile. O avrà sadicamente congegnato di far loro del male per vendetta, verso la moglie e la vita.



La cronaca ogni anno ci racconta storie così. Possiamo ancora sperare che le abbia affidate a una mano amica e segreta, che come nei miti antichi si curi di loro,  una capra, una lupa, per poi restituircele giocose, immemori e liete? Non più. Non ci sono più selve e torrenti e anfratti sicuri, oggigiorno. Non ci sono pastori provvidi che si prendono cura dei bimbi abbandonati. Soprattutto non c’è più la certezza che la vita va preservata sempre, e comunque, che puoi chiudere la tua esistenza dannata, ma lasciare una porta aperta alla speranza, alla pietà, almeno per chi ti è più caro.



Matthias Schepps, 42 anni, avrà pur giocato con le sue bimbe. Avrà guardato compiaciuto come stavano bene con quel completino da festa, come dormivano nel lettino stringendo il peluche stropicciato, abbandonate al sonno, sicure nella casa di mamma e papà. Avrà pensato al loro destino, alla loro felicità. Non si è uomini, senza un barlume di questi pensieri. Dunque, un assalto improvviso del male può averlo trasformato in una belva (ma le belve non uccidono i loro piccoli, almeno non i loro), o un’improvvisa follia  avrà cancellato ogni traccia di paternità, come accade a troppi genitori assassini: più si perde il significato, la gioia del vivere, più aumentano gli infanticidi, si cancella la vita stessa, incarnata in quei visetti che ci interrogano, e chiedono di essere amati. Si saprà, prima o poi, se papà era un omicida o un malato di mente, come osiamo sperare, perché qualunque aldilà non sia per lui  pena eterna e dannata dal rimorso.

Guardo il sorriso  biondissimo di Alessia e Livia, e spero che, se un miracolo non  le ha preservate, un miracolo le abbia fatte addormentare insieme, serene, fiduciose, per passare tra braccia che non le abbandoneranno mai più.  Spero che non trovino mai i loro corpi, che questa ferita sia risparmiata alla madre. Spero che la curiosità, e la morbosità di letture troppo voraci della cronaca nera lascino il posto ad una preghiera, o almeno  a una riflessione. I bambini pagano sempre per errori e colpe che non hanno.  Sono troppi i bambini umiliati, offesi, straziati da adulti sempre più disumani o assenti. Livia e Alessia le conosciamo, come conosciamo il faccino di  Denise Pipitone,  e di troppi scomparsi su foto ormai sbiadite dal tempo; sappiamo dei fratellini arsi dal rogo che ha lasciato attonita una città, domenica scorsa. Di tanti non sappiamo nulla, neppure il nome.  Questo sì “fa accapponare la pelle”: perché non sappiamo amare, com’è ragionevole, com’è naturale, creature così. Che uomini siamo, cos’abbiamo perduto? E’ la domanda viva che cambia, non  le risposte.