Un’insegnante, Giuseppa Valido, è stata condannata ad un anno di reclusione perché ha fatto scrivere per cento volte ad un suo studente “sono un deficiente”. Il fatto risale al 2006. Non ci interessa qui ripercorrere la vicenda giudiziaria della docente, che decise di stigmatizzare un atto di bullismo, né discutere il provvedimento del gup, che aveva assolto l’imputata prima che la terza sezione della corte d’appello emettesse la sentenza di condanna. Di questo hanno già parlato i mezzi di informazione. Però che la magistratura sia costretta ad occuparsi di episodi come questo non è un gran bel segno, ma ancor più triste è che nella scuola italiana accadano cose di questo tipo. È il segno di una decadenza dell’educazione che purtroppo segna la vita di troppe realtà scolastiche, l’idea che tanti insegnanti hanno di poter piegare a se stessi i loro studenti.
C’è nel provvedimento preso dall’insegnante condannata un errore di fondo, l’imposizione di un giudizio negativo sul suo studente, fino a farglielo scrivere e riscrivere. Non è solo assurdo dal punto umano, è una grave resa educativa. Oggi molti insegnanti, senza arrivare ai livelli denunciati, portano in classe la loro debolezza educativa e pensano di risolverla con regole e punizioni. C’è una esasperazione delle norme comportamentali come non mai, il tutto nell’illusione di poter generare negli studenti un processo di apprendimento attraverso ferree regole di comportamento. Niente di più sbagliato, l’educazione non è questione di regole né questione di imposizioni, l’educazione è questione di fascino e di libertà.
Un insegnante dovrebbe chiedersi che cosa ha di interessante da proporre ai suoi studenti ed entrare ogni mattina con la forza di ciò che lo appassiona, così un insegnante dovrebbe cominciare a guardare i suoi studenti, uno ad uno, con una simpatia totale, fino a vedere non che sono deficienti, ma che hanno una loro originale e unica sensibilità. Non sono le classi che devono cambiare né le generazioni, sono gli insegnanti che di fronte alle situazioni pur difficili sono chiamati a decidere se affidarsi alle regole o ad uno sguardo vero, quello che sa vedere in ogni studente, anche nel peggiore, un fattore positivo. È da lì che l’educazione può ripartire e raggiungere livelli di apertura e di passione impensabili. Ci vuole un insegnante capace di scoprire in ogni studente la sua positività, quel fattore che lo lancia nella vita.
L’insegnante condannata, al posto di far scrivere per cento volte “sono deficiente” al suo alunno, avrebbe dovuto fargli scrivere una volta sola un breve profilo delle doti positive che vede in lui. E poi giocare la sua sfida sulla positività di quel ragazzo. Che nella scuola entri uno sguardo nuovo, questo è il problema serio dell’educazione oggi. Non sarà la sentenza di un tribunale a risolverlo, né il ricorso a norme più ferree. Urgono invece insegnanti che si mettano alla ricerca del positivo presente in ogni studente e che sfidino la libertà a riconoscerlo.
Insegnanti che divengano alleati del cuore di ogni studente, più di quello che gli stessi studenti riescano.