Ennesima tragedia familiare, oggi a Acquapendente in provincia di Viterbo. Un uomo di 40 anni ha massacrato a colpi di piccozza la moglie e il figlioletto di soli 4 anni e mezzo poi si è tagliato la gola uccidendosi. Alla base del tragico gesto la minaccia della moglie che aveva scoperto la relazione extra coniugale dell’uomo: “Non ti farò mai più vedere tuo figlio”.
IlSussidiario.net ha chiesto in esclusiva al professor Claudio Risé, scrittore e docente universitario di psicologia dell’educazione e in precedenza di sociologia della comunicazione, come si spiegano questi fenomeni sempre più frequenti in cui vengono coinvolti nella morte anche i figli. “Sono ormai episodi ricorrenti che caratterizzano la nostra società post moderna” ci ha detto Risé. “Le reazioni violente omicide e suicide nascono dalla minaccia della fine della famiglia e soprattutto dalla minaccia della separazione dai figli. E’ un incubo maschile sempre più ricorrente che trova questi mariti – padri del tutto impreparati a gestire questa doppia eventualità, quella della fine della famiglia e della separazione dai figli”.
Nel caso di Viterbo, la famiglia coinvolta apparteneva a un ceto medio alto: proprietari di una pizzeria con un buon giro di affari, vivevano in una elegante villetta e stavano progettando l’acquisto di una seconda villetta. Ma l’uomo intratteneva da tempo una relazione coniugale con una parente della moglie. La quale, scoperto la cosa, lo ha minacciato di cacciarlo di casa e di proibirgli di vedere il figlio. “Nessuna delle due eventualità viene da loro accettata” continua il professor Risé riferendosi agli uomini cacciati dal nucleo familiare “specie la fine di una relazione con i figli, l’impossibilità i continuare una relazione affettiva con loro. Per molte persone questa si rivela una prospettiva che non sono in grado di reggere e a cui reagiscono distruggendo la propria vita e quella degli altri, figli inclusi. C’è da parte loro una identificazione assoluta con il figlio da cui non riescono a pensare di potersi separare”.
Il recente caso dello svizzero che ha rapito le figlie portando via dalla moglie da cui era separato e che con ogni probabilità le ha uccise, uccidendosi poi anche lui, è solo uno dei tanti episodi simili a quest’ultimo di Vitebro: “Tutto questo è fenomeno recente” spiega Risè.
“La distruzione della famiglia è infatti fenomeno recente, caratteristica della nostra società post moderna, La famiglia ha avuto in passato forme di organizzazione diverse ma non era concepibile in alcun modo una possibilità di separazione tra padri e figli. Il padre fino a qualche tempo fa, la figura maschile, si identificava anche con il legislatore, e quindi raramente e solo in casi gravissimi era possibile arrivare alla separazione tra padre e figli. La stessa distruzione, separazione del nucleo familiare era evento raro ed eccezionale e in ogni caso la rottura del rapporto coniugale non portava mai all’espulsione del padre dalla famiglia”.
Naturalmente giungere a certi eccessi omicidi è dovuto anche a problematiche psicologiche che uno si porta dentro: “Certamente. Il dato di fatto però è che si rivela sempre più difficile per questi uomini – padre reggere la separazione dai figli”. Il fatto che oggi la legge dia nel 90% dei casi, qualunque sua la ragione della separazione, l’affido dei figli alla madre spaventa e terrorizza tutti gli uomini. Per Risè infine c’è anche l’assenza di un padre con la P maiuscola: “Episodi come questi trovano la loro origine nel processo di secolarizzazione e nella epurazione dalla vita umana moderna del rapporto col Padre, inteso Padre con la P maiuscola. Questo allontanamento ha svuotato di forza e di contenuti la paternità reale, fisica e quando questa viene alterata con una sentenza giudiziaria o con la minaccia di una ex moglie di non far più rivedere i figli come nel caso in questione ecco che essi non ce la fanno e scattano le tragedie distruttive”.