Ieri è arrivata la sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Giuliani. E fraintenderla è molto facile. Dire che il nostro paese non è «responsabile» della morte di Carlo Giuliani non è corretto. Lo spiega a ilsussidiario.net Enzo Cannizzaro, docente di diritto internazionale alla Sapienza di Roma. La Corte ha detto che L’Italia non ha violato l’articolo 2 della Convenzione: Carlo Giuliani, il giovane anarchico che il 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova, perse la vita nel tentativo di assaltare un Defender dei Carabinieri, non è stato ucciso in maniera arbitraria. «La Corte ha stabilito che non c’è stata una violazione materiale dell’articolo 2, cioè che la morte non è stata inflitta in maniera arbitraria, essendo accaduto nel quadro di un’operazione legittima». In altre parole, la sentenza non dice che l’Italia ha fatto «la cosa giusta». Ma c’è di più. La Corte – secondo Cannizzaro – ha lasciato in subordine aspetti molto rilevanti. Che, nella sostanza, depongono a sfavore del nostro Paese.

Professore, la Corte di Strasburgo ha assolto l’Italia, che dunque non è responsabile della morte di Carlo Giuliani.

Dire così non è corretto. L’Italia non è stata dichiarata non responsabile della morte di Carlo Giuliani, perché questo è un compito che non compete alla Corte di Strasburgo. Essa invece ha stabilito che la morte di Giuliani, per la quale la responsabilità dell’Italia nessuno può negare, non costituisce una violazione dell’articolo 2 della Convenzione (diritto alla vita, ndr).

Cosa cambia?

La Corte ha stabilito che non c’è stata una violazione materiale dell’articolo 2, cioè che la morte non è stata inflitta in maniera arbitraria, essendo accaduta nel quadro di un’operazione legittima. La Corte ha anche escluso una violazione degli aspetti procedurali dell’articolo 2, relativi al modo di conduzione delle indagini.

Semplificando, si può desumere dalla sentenza della Corte che l’Italia ha agito nel modo giusto?

No. La Corte non può dir questo, ma solo concludere che non c’è stata una privazione arbitraria della vita. C’è un paragrafo molto importante in cui la Corte in pratica dice: noi non siamo un giudice penale e dunque non spetta a noi dire se c’è stata una violazione del diritto penale, un omicidio oppure no. Dobbiamo solo dire se c’è stata una violazione della Convenzione. Questo è fondamentale per non travisare il senso della sentenza. Perché ci potrebbe essere una violazione della Convenzione anche se non c’è stato un omicidio. Potrebbe accadere anche il contrario,  pur se sarebbe più difficile.

 

Si può dire che la Corte stigmatizza l’attacco «violento e illegale» – per usare i termini impiegati nella sentenza – da parte dei manifestanti quel 20 luglio 2001 a Genova?

 

Sì: la Corte insiste molto sulla circostanza che c’è stato una attacco dei manifestanti e vi era necessità di respingerlo da parte delle forze dell’ordine. Ma la mia impressione, derivante da una prima lettura della sentenza, è che la Corte non abbia valorizzato a sufficienza una serie di altri argomenti che avrebbero potuto deporre in senso contrario. In particolare, la circostanza che in quell’occasione il ricorso alla forza, e a quel tipo di forza, non era «assolutamente necessario».

 

Non era assolutamente necessario? Si trattava di guerriglia urbana.

 

Bisogna intendersi. L’uso della forza è lecito se costituisce l’unico modo per respingere l’attacco. Non basta cioè che sia opportuno, desiderabile o anche solo necessario. Deve essere «assolutamente necessario». Non «assolutamente necessario» vuol dire che l’uso della forza non era effettivamente l’unico mezzo a disposizione per respingere l’attacco. Capisco che il termine «assolutamente» possa dare luogo ad equivoci, ma occorre comprenderne il significato.

 

Si spieghi, professore.

Ricapitoliamo. La Corte ha accertato che l’impiego della forza da parte del carabiniere, in quelle specifiche circostanze, non costituiva una violazione della Convenzione. La sentenza non ha invece convincentemente spiegato che le autorità pubbliche abbiano davvero fatto tutto il possibile affinché non si creasse quella situazione. Per consentire un uso responsabile della forza, occorre che i soggetti legittimati ad utilizzarla abbiano un addestramento sufficiente per poter prendere una decisione in maniera consapevole; occorre che gli agenti abbiano gli strumenti per poter graduare l’impiego della forza, ad esempio, utilizzando proiettili di gomma invece che proiettili letali, e così via. In sintesi, pur se l’azione del carabiniere fosse giustificabile in quella situazione concreta, ben potrebbero esservi state delle manchevolezze delle autorità nel non aver adottato tutte le misure per evitare che quella situazione si producesse. Su questi aspetti, non di secondaria importanza, la sentenza della Corte lascia qualche perplessità.

 

Il padre di Carlo Giuliani ha detto che intenterà una causa civile, per avere un dibattimento processuale. «L’unica cosa – ha detto – che non hanno ritenuto degna di un processo è l’omicidio di Carlo».

 

Immagino che volesse riferirsi alla possibilità di avviare un procedimento civile. Finora sulla vicenda vi è stato un accertamento penale, il quale ha escluso che vi sia stata violazione della legge penale. Oggi la Corte europea ha escluso che vi sia stata violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Ciò non esclude del tutto la possibilità che la morte di Giuliani sia dovuta alla violazione di altre norme da parte di organi statali. Per accertare questo punto, i danneggiati, vale a dire i familiari di Giuliani, potranno avviare un procedimento civile per risarcimento del danno.

 

(Federico Ferraù)