«Le proteste dei lampedusani sono comprensibili, chiunque dopo un periodo così lungo in uno stato d’emergenza inizierebbe a manifestare un senso di stanchezza. Ma è anche vero che in questo mese e mezzo i residenti hanno dimostrato uno spirito fraterno nei confronti degli immigrati che altrove sarebbe stato inimmaginabile». A dichiararlo è il viceparroco di Lampedusa, don Vincent Mwagala, originario della Tanzania, nel giorno più incandescente dall’inizio degli sbarchi, con i pescatori che hanno bloccato il molo e l’Oms che ha lanciato l’allarme epidemie.



Don Mwagala, in tv abbiamo visto l’esasperazione dei lampedusani…

E’ anche comprensibile. Lampedusa ha una popolazione di 5.500 abitanti e gli immigrati sono già quasi 7mila. Anche chi vive la carità e si impegna per concretizzarla non può non avvertire un senso di stanchezza. Se l’emergenza durasse da due o tre giorni sarebbe un’altra cosa, ma ormai si tratta di settimane. La gente continua a dimostrare un senso profondo di umanità, però nello stesso tempo è comprensibile che non ne possa più.



Prima delle proteste di ieri, qual era stato il comportamento dei residenti?

Quello dei lampedusani è un atteggiamento fraterno. Ho assistito di persona a scene che altrove sarebbe stato impossibile vedere. Per esempio diversi abitanti dell’isola vanno in giro a portare da mangiare agli immigrati, giocano con i bambini tunisini, portano i nuovi arrivati al bar per offrire loro il caffè, il cappuccino o il tè. E anche ora tutto ciò che chiedono i lampedusani è che si ripristini un minimo di normalità nella vita di tutti i giorni.

Oltre a queste scene, c’è qualcos’altro che l’ha colpita particolarmente?



Quella che stiamo vivendo in queste settimane è una vicenda che ci ha sommerso completamente. E in queste situazioni, se uno anche non perde del tutto la capacità di commuoversi, da un certo punto in poi vive quasi come se non sentisse più nulla e andasse avanti come una macchina. Come un paziente malato da molti anni, che a un certo punto non si meraviglia neanche più di stare male. E’ questa la sensazione che abbiamo in questi giorni: siamo arrivati proprio al colmo.

Quali sono le emergenze più gravi sull’isola?

L’emergenza è la presenza stessa degli immigrati che dormono per strada, sulle colline, riparati soltanto da una coperta in punti dell’isola che di notte si ghiacciano. Già questa è un’emergenza, che poi porta con sé anche un problema igienico-sanitario. L’isola infatti ospita delle persone che sono arrivate in condizioni igienico-sanitarie precarie, portando con sé soltanto un paio di pantaloni e una camicia, e che possono cambiarsi soltanto quando noi portiamo loro qualcosa. E si capisce che non è facile soddisfare contemporaneamente le esigenze di settemila persone. La situazione, pur non essendo fuori controllo, è abbastanza drammatica.

Che cosa stanno facendo la parrocchia e la Caritas?

La parrocchia ha messo fin da subito a disposizione una casa, riservata normalmente ai ritiri spirituali dei fedeli, per ospitare una parte degli immigrati. Mentre la Caritas diocesana ha aperto uno sportello dove offre servizi come la distribuzione dei vestiti. Mentre la sera, con la collaborazione dei cittadini di Lampedusa, prepara una cena con panini, tè e latte, distribuendoli in tutta l’isola.

Che cosa le hanno raccontato gli immigrati con cui ha parlato?

La maggior parte di loro ha l’ambizione di trovare una vita migliore e un lavoro dignitoso. La maggior parte di loro vorrebbe recarsi in Francia, Germania o Belgio.

Qual è la loro estrazione sociale?

Più andiamo avanti, più si fa più umile e povera. Nei primi giorni quelli che sono arrivati sono rimasti autonomi dal punto di vista finanziario per almeno una settimana. Avevano cioè con sé la moneta tunisina e cambiandola riuscivano a comprare l’essenziale per vivere. Al contrario quelli arrivati di recente hanno bisogno di tutto, sia dal punto di vista psicologico che economico. Pochissimi di loro hanno qualche spicciolo in tasca, la maggior parte invece non ha nulla.

E perché prima sono arrivati i più benestanti?

Nei primi giorni degli sbarchi gli scafisti chiedevano fino a 2mila euro per il viaggio fino a Lampedusa. Le persone più povere erano quindi costrette a restare in Tunisia. Con il tempo invece i prezzi sono diminuiti, e gli immigrati sono arrivati a pagare 1.000, anche 800 euro. Inoltre, c’è anche un aspetto politico…

In che senso?

Dopo la caduta di Ben Alì, su cui si fondava l’intera economia tunisina, alcune persone prima benestanti si sono trovate ad avere una vita difficile dal punto di vista finanziario, e hanno dovuto cercare uno sbocco alternativo. Quelli che arrivavano con i primi sbarchi raccontavano anche di essere in fuga da una forma di ostilità di tipo politico. Avevamo la chiara sensazione che stessero dalla parte di Ben Ali, e che quindi scappassero per non subire vendette dopo la sua caduta. Non potevano restare lì, perché sapevano che avrebbero rischiato la vita. Questo almeno era quello che ci accennavano, anche se non lo dicevano apertamente perché qui sono presenti anche numerosi tunisini che politicamente non la pensano come loro. Ciascuno cerca quindi di nascondere le sue idee politiche, perché rivelarle creerebbe una forma di conflitto.

Gli immigrati come descrivono la traversata?

In modo tragico, è un viaggio tra la vita e la morte. La prima cosa che fanno quando arrivano qui è ringraziare Allah che li ha fatti arrivare sani e salvi. Attraversare il Mediterraneo su un barcone è un’esperienza molto forte, in molti casi il tragitto avviene mentre il mare è agitatissimo. E anche quando è calmo, non è ovviamente un viaggio confortevole. I pescherecci hanno contribuito a salvare gli immigrati che stavano annegando? Qualcuno lo ha fatto, da questo punto di vista dobbiamo però ringraziare soprattutto la Guardia di finanza e la Capitaneria di porto. Hanno fatto un ottimo lavoro, appena arriva loro una segnalazione escono e vanno a fare un salvataggio.

(Pietro Vernizzi)