L’Italia, come la Germania, tutela la libertà religiosa; in Egitto e in Cina, invece, il tasso di restrizione è alle stelle. È noto, si dirà. Vero. Quello che è meno noto è che la libertà religiosa è stata quantificata e indicizzata, ed è possibile sapere con certezza dove ce n’è di più e dove, invece, è un bene scarso. Tanto che il suo prezzo può essere la vita stessa. Lo dimostra un recente studio curato da Roger Finke, e Brian J. Grim, The Price of Freedom Denied (“Il prezzo della libertà negata”). Quanto e in che modo il governo interferisce con i diritti individuali? L’indice Gri (Government Regulation of Religion Index) assegna, su di una scala da 0 a 10, 1,39 all’Italia, 0,83 al Canada, 8,61 all’Egitto e 7,78 alla Cina. E la persecuzione religiosa? Sempre su una scala da 0 a 10, in Italia (0) chi ha una qualsiasi fede non rischia la vita come avviene in Egitto (8/10), in Afghanistan (6/10) o in Cina (10/10).
L’analisi di Finke e Grim interpreta questo “barometro” della libertà religiosa nel mondo, per arrivare a una conclusione ben precisa: la libertà religiosa è un bene tanto prezioso quanto fragile, e ha bisogno di essere tutelata dai governi.
Ci ha provato il ministro pakistano cattolico Shahbaz Bhatti, ma ha pagato il suo impegno con la vita. Ma senza libertà religiosa non può esserci progresso civile: lo ha ricordato ieri in un’intervista a Radio Vaticana l’osservatore permanente della Santa Sede presso l’ufficio dell’Onu di Ginevra, Mons. Silvano Maria Tomasi. «La libertà di fede, la libertà di culto sono l’espressione più intima della persona umana, perché trattano del rapporto con la Trascendenza, toccano le motivazioni profonde delle scelte fondamentali che una persona fa. Se questo diritto viene soppresso o negato, allo stesso modo saranno negate le aspirazioni democratiche».
Professor Finke, secondo la vostra ricerca la mancanza di libertà religiosa è un problema che si sta attualmente diffondendo nel mondo?
I nostri dati non consentono una comparazione temporale, non sappiamo quindi come sia la situazione attuale rispetto al passato. Ciò che i nostri dati dimostrano chiaramente è che le libertà religiose sono sistematicamente negate in tutto il mondo e le persecuzioni religiose (cioè i maltrattamenti fisici o le discriminazioni dovute all’appartenenza alla propria religione) sono anch’esse sorprendentemente diffuse.
Vi sono aree specifiche in cui il problema è particolarmente grave?
La negazione della libertà religiosa, come anche le persecuzioni, esistono in ogni regione del mondo, ma sono diventate la norma nell’Asia del Sud, in Medio Oriente e nell’Africa Settentrionale.
Queste situazioni derivano dalle posizioni dei vari governi o anche la società in generale si può ritenere responsabile?
Entrambi possono essere alla base della negazione delle libertà. Le pressioni sociali possono essere usate direttamente o come strumento di pressione sul governo per negare o ridurre la libertà religiosa. In alcuni casi, tuttavia, sono i governi che limitano le libertà religiose di gruppi che ritengono pericolosi.
Si possono intravedere diversi livelli nello stabilire una reale libertà religiosa all’interno di uno Stato: il sistema legislativo, la sua effettiva attuazione e la sua accettazione da parte della popolazione. Secondo la vostra ricerca, vi sono altri fattori e quali, comunque, sono i più importanti?
La grande maggioranza dei Paesi stabilisce la libertà religiosa nella Costituzione, perciò la promessa legale non è sufficiente per garantirla veramente. Come ogni libertà, anche quelle religiose sono fragili e a volta scomode. Molti vogliono queste libertà, ma non necessariamente per tutti, e talvolta, in effetti, la maggioranza si oppone alla protezione delle libertà, specialmente per la religione o per i gruppi di minoranza. Per questa ragione il rispetto di queste libertà ha bisogno di un forte appoggio da parte dei governi.
Questo porta alla questione di come lo Stato debba porsi nei confronti della religione. Per una vera libertà religiosa è necessaria la separazione tra Stato e religione? È un punto attualmente in discussione anche negli Stati Uniti.
Quando Stato e religione non sono separate o una religione gode di una condizione privilegiata, la tentazione è di limitare la concorrenza religiosa. Perciò, la separazione tra Chiesa e Stato può aiutare a evitare queste forme di restrizione della libertà. Tuttavia, in questo caso lo Stato deve assumere un deciso impegno a sostenere le libertà religiose, altrimenti la religione dovrà prima o poi affrontare restrizioni ancora maggiori. Sotto questo profilo, l’esempio più evidente è dato storicamente dai Paesi comunisti.
Anche dove si proclama la libertà religiosa, spesso un punto critico rimane la possibilità di proselitismo. È concepibile una reale libertà religiosa senza il diritto di comunicare la propria fede e senza la libertà di conversione?
Proibire qualunque forma di proselitismo significa negare sia la libertà religiosa, sia la libertà di parola.
Quindi la libertà religiosa è un fattore non di conflitto, ma di pace. Secondo lei, come possono essere evitati i problemi che, per esempio in Europa, vengono posti da una società multiculturale? La coesistenza di diverse religioni è un problema spesso più culturale che strettamente religioso. Cosa ne pensa?
Se le libertà sono concesse a tutte le religioni e tutte sono poste nelle stesse condizioni, questo aiuta a disinnescare potenziali conflitti e a favorire uno scambio aperto. I risultati della nostra ricerca sono straordinariamente a sostegno del legame tra le libertà religiose e la riduzione dei conflitti di religione.