Si è risolto per il meglio il caso di Jamila (nome di fantasia) la studentessa di un liceo bresciano  di origini pakistane che da giorni era svanita da scuola. L’allarme era scattato quando un docente aveva inviato una lettera al quotidiano Brescia Oggi per segnalare il problema, spiegando che la giovane era stata sequestrata dalla famiglia perché tropo bella; suo malgrado, suscitava l’attrazione dei compagni di scuola. Il docente era particolarmente rammaricato per la 19enne che, nonostante avesse perso due anni e le difficoltà con la lingua, era riuscita a recuperare in fretta, e ad avere un pagella da prima della classe. Le piaceva studiare e la nuova regola impostale dai fratelli, – di non uscire di casa da sola – le pesava parecchio. «Temo di fare la fine di Hina», aveva confidato all’insegnante riferendosi alla ragazza pachistana uccisa a Brescia, nell’agosto 2006, perché voleva vivere all’occidentale». Elementi sufficienti per far decidere alla questura di organizzare un incontro con il console pakistano e perché la squadra mobile guidata da Riccardo Tumminia decidesse di precipitarsi nell’appartamento, memore della vicenda di Hina. Ma gli agenti, al loro arrivo, sono parzialmente rimasti sorpresi. Si aspettavano di trovare una ragazza segregata in condizioni disumane, ma non è stato così. La porta di casa era aperta, bastava abbassare la maniglia. Nella casa piccola ma dignitosa, c’era la giovane assieme alla madre, che serenamente ha spiegato: «Non posso uscire da sola, non posso più andare a scuola». I suoi fratelli, due più grandi e uno più piccolo, le avevano imposto l’obbligo di uscire solo se accompagnata. Lei, semplicemente, aveva obbedito. Invitate in questura, le donne hanno chiarito i contorni della vicenda. Il padre della studentessa, due anni fa era morto in fonderia per un infarto. L’uomo non era iscritto al sindacato e la sua assicurazione era scaduta. Per questo, la famiglia versava in condizioni economiche sempre più problematiche. Un rappresentante della Cgil, aveva suggerito loro di non pagare più il mutuo della casa finché la causa non si fosse risolta, ma la banca, dopo 15 mesi, minacciava di prendersi la casa. I fratelli avevano pensato di porre rimedio alla situazione promettendola in sposa ad un cugino benestante. La sua bellezza, tuttavia, e gli apprezzamenti dei compagni secondo i fratelli, mettevano a rischio le nozze. Ora la giovane potrà tornare a scuola.



 Il console Syed Muhammad Farooq si è impegnato per far capire ai fratelli che nel Corano, da nessuna parte sta scritto che una ragazza non può uscire da sola, non può vivere la propria esistenza o sposarsi con chi vuole. I familiari sono stati abbondantemente redarguiti circa il loro comportamento, ai limiti del sequestro di persona, minacce e violenze, e si sono impegnati a lasciar condurre alla giovane un’esistenza normale. Il console, dal canto suo, ha ironicamente assicurato che se qualcuno la vorrà fare rientrare in Pakistan contro la sua volontà, lui metterà il suo nome su una lista nera e le sarà impossibile oltrepassare la frontiera.  

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