La sua storia è diventata anche un libro Sarah Ghazi (nome di fantasia per ovvi motivi di sicurezza) è la protagonista di una terribile storia che svela tutto l’orrore del fondamentalismo islamico. Libanese, Sarah cresce nella Beirut appena ricostruita dopo i tanti anni di guerra civile.

Riesce a venire in Italia dove va a studiare medicina. Una donna araba, ma moderna e cosmopolita, come vorrebbero essere tutte le donne islamiche. In Italia conosce un altro libanese, i due si innamorano e si sposano. L’inizio di una vita felice? No, l’inizio di un incubo. Dopo poco tempo infatti il marito, Nasser, si interessa sempre più della parte fondamentalista della loro religione, l’Islam, quell’aspetto che negli ultimi anni ha preso piede parecchio fra molti musulmani, grazie alla nefasta influenza di organizzazioni terroristiche come Al Qaeda. Nel giro di poco tempo il marito trasforma la vita di Sarah in un incubo dei più terribili: la costringe a sopportare tutte le odiose regole che il fondamentalismo islamico impone alle donne: dal burla, a una vita segregata in casa alle violenze per ogni più piccola mancanza. Morte civile, si chiama. Lei non si perde d’animo e comincia una dura lotta per la sua libertà, riuscendo a separarsi dal marito. Tutto a posto? No, purtroppo. I due nel frattempo hanno infatti avuto un bambino. Quando i due si separano, come succede in casi analoghi, lui lo rapisce e lo porta con sé in Libano.



Si appoggia a una sentenza di un tribunale islamico che ha dichiarato la madre “indegna”. Sono passati adesso cinque anni e Sarah non ha più rivisto il figlioletto. Da poco Sarah Ghazi ha pubblicato un libro, edito da Mondadori, che si intitola “Lettera al mio bambino rapito”, in cui racconta la sua drammatica vicenda. Sarah ha ingaggiato una battaglia legale internazionale i cui esiti sono tuttora molto incerti. “Non voglio vendetta, non l’ho mai voluta. Voglio solo ciò che è mio: il mio diritto a essere madre, il mio diritto a non abbandonare mio figlio.”



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