Bruxelles bacchetta l’Italia. La Corte di Giustizia della Ue boccia la legge italiana sul reato di clandestinità, che prevede la carcerazione per gli immigrati irregolari.
La norma, in particolare, confliggerebbe con le direttive comunitarie che disciplinano il rimpatrio dei clandestini. Secondo la Corte, la permanenza in carcere potrebbe inficiare le politiche europee che regolano i rimpatri e gli allontanamenti dei clandestini nel rispetto dei loro diritti fondamentali. Una nota diffusa in seguito alla sentenza recita: «La Corte considera che gli Stati membri non possono introdurre (…) una pena detentiva (…) solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare in detto territorio».
La sentenza fa riferimento al caso di un cittadino di un Paese extracomunitario entrato in Italia illegalmente, El Dridi. Nel 2004 fu emanato nei suoi confronti un decreto di espulsione, sul cui fondamento, nel 2010, fu emesso un ordine di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni. Non essendosi conformato a tale ordine, era stato condannato dal Tribunale di Trento ad un anno di reclusione. Bruxelles, inoltre, raccomanda agli stati europei di «adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti».
Date queste premesse, la Corte chiede ai giudici di non applicare la normativa italiana cui la sentenza fa riferimento: «il giudice nazionale, incaricato di applicare le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, dovrà quindi disapplicare ogni disposizione nazionale contraria al risultato della direttiva (segnatamente, la disposizione che prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni) e tenere conto del principio dell’applicazione retroattiva della pena più mite, il quale fa parte delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri».