Una donna malata di sclerosi laterale amiotrofica rifiuta l’eutanasia. Però ha un altro problema: non riceve alcun aiuto da Comune e Asl, a parte dodici ore di assistenza giornaliera. Il resto, compreso computer per comunicare, le è negato e la figlia spende 150 euro a notte per l’assistenza notturna. Si sono dovuti mobilitare gli ex colleghi della donna malata, totalmente insufficiente dal 1997, per sostenere le spese.
E’ la storia di una signora romana affetta da Sla in stato avanzato. E’ così che la figlia ha deciso di rivolgersi a un avvocato. “Per Comune e Asl”, ha detto la figlia “questi ammalati sembrano vuoti a perdere. Esseri senza diritti”. Di fatto, la donna potrebbe essere ricoverata in un centro specializzato di assistenza, ma ovviamente a spese totali della famiglia. L’avvocato a cui si rivolge decide che bisogna andare alla magistratura. Il giudice Ambrosi della sezione lavoro del Tribunale di Roma giudica il caso e decide che la donna ha diritto all’assistenza totale da parte dello Stato. Senza dover essere ricoverata ma a casa sua. Si tratta di un articolo della Convenzione Onu sottoscritto nel 2009 anche dall’Italia: “le persone con disabilità devono avere la possibilità di scegliere, sulla base di eguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione abitativa”.
Gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione poi chiariscono il compito dello Stato di di rimuovere gli ostacoli economici e sociali che possono impedire il pieno sviluppo della persona umana. Diritti garantiti anche dal Trattato di Lisbona e da sentenze della cassazione. Insomma, è obbligo dello Stato far sì che il malato sia assistito senza spese per la famiglia nel posto dove lui desidera essere assistito, senza obbligo di essere portato in alcuna struttura alternativa.