Quando alle 10 e 38 di ieri 1° maggio il velo che copriva il grande ritratto di Giovanni Paolo II posto sulla facciata di San Pietro è stato lasciato cadere ed è comparso il volto giovanile e radioso del papa polacco, la piazza e via della Conciliazione e tutte le strade e le piazze di Roma sono esplose di gioia. Una felicità profonda, motivata, piena di ragioni. Benedetto XVI aveva appena pronunciato le solenni parole del rito: “Con la nostra Autorità Apostolica concediamo che il venerabile servo di Dio Giovanni Paolo II, papa, d’ora in poi sia chiamato Beato”.
In quell’istante in cui il sole prendeva definitivamente possesso del cielo romano che era stato tanto minaccioso di pioggia, si è capito bene che quest’uomo, questo instancabile testimone della fede è stato dichiarato beato per noi, per il popolo, per il mondo; beato per l’attualità, per oggi, e non per una vita gloriosa e finita, per un passato straordinario e chiuso. Altrimenti ciò che è accaduto tra sabato e domenica sarebbe una follia. Tutte quelle persone accampate per ore, i viaggi in pullman per centinaia di chilometri, l’attesa notturna e anche inquieta, il pauroso addensarsi di folla: per cosa? Nostalgia, culto della personalità, emotività? Quel che Giovanni Paolo II ha fatto nella sua vita si è rivissuto e ricompreso ieri con chiarezza e commozione. “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo” aveva detto all’inizio del suo pontificato, nel 1978: la stessa frase era su un grande striscione della piazza di ieri ed è stata ripresa da Benedetto XVI nell’omelia come “causa stessa del Pontificato”.
Un uomo che ha aperto, anzi spalancato le porte a Cristo nella sua vita e ciò lo ha reso testimone “con forza di gigante”. Capace di spendersi e di amare, di ascoltare e giudicare, di offrire e di pellegrinare. Fino a diventare protagonista della storia, perché ha incarnato e segnato il Novecento, e fino a rendersi, nei lunghi anni della malattia, totalmente trasparente dell’Amore di cui era innamorato.



È diventato famoso con i viaggi nel mondo, 104 (e 146 in Italia), ma quei viaggi erano un vorticoso incrociare sguardi e stringere mani, a milioni, quasi volesse incontrare gli uomini uno a uno, avere qualche minuto per ciascuna persona, poterla abbracciare dicendole “non avere paura!”. Uno slancio, uno struggimento che ha accettato il rischio della controversia e dell’inquieto vivere: ricordiamo bene l’ostilità con cui tanti media e tanta opinione pubblica, inclusa parte di quella cattolica, hanno accompagnato per parecchi anni il pontificato – per poi quasi “arrendersi” a lui, riconoscendolo come padre o almeno come “grande della nostra epoca”, massimo titolo che la modernità è disposta a concedere.
In realtà la sua fede “forte, generosa, apostolica” si è imposta nel tempo davanti a tutti. Nelle parole di Benedetto XVI (“insieme per 23 anni”) si coglie appieno la personalità di Giovanni Paolo II: attratto da Cristo con tutto il suo essere (“si immergeva nell’incontro con Lui”), è “rimasto sempre una roccia”, “ci ha aiutato a non avere paura della verità che è garanzia della libertà”. E così ha saputo sfidare il potere del mondo, pagando anche un prezzo di sangue, restituendo al cristianesimo (e cioè all’uomo cristiano) la dimensione della speranza che era stata “ceduta” al marxismo e all’ideologia del progresso.
In questo modo Giovanni Paolo II, il papa “venuto da lontano” secondo il bel titolo del film di Krysztof Zanussi, ha introdotto la Chiesa nel Terzo Millennio, che era il “compito” che gli aveva affidato il cardinale Wyszynski. Cioè ha potuto riscuotere la fede dalla tentazione del declino, dell’inerzia, del sentimentalismo, riproponendo l’attualità incendiaria della persona vivente del Cristo.



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