L’ultima tragedia della guerra e del mare riporta in prima pagina il problema dei migranti. Gli sbarchi continuano e ancora una volta le traversate verso l’Italia sono segnate dalla tragedia. Venerdì scorso un barcone con 655 migranti è riuscito a sbarcare a Lampedusa, ma un altro, salpato da Tripoli, ha fatto subito naufragio. Sono decine i morti e centinaia i dispersi in mare. «I libici dicono: voi ci mandate le bombe, noi vi mandiamo gli immigrati. Ed ecco le conseguenze…». Lo ha detto, in una dichiarazione riportata ieri dal Corriere, Mons. Martinelli, vescovo di Tripoli. Così, mentre i flussi dal Nord Africa continuano, il governo italiano deve ancora affrontare il problema di una legge Ue – la cosiddetta «direttiva rimpatri» – che lascia nell’indeterminazione le sorti degli stranieri che non obbediscono all’ordine di espulsione.
Mentre prima infatti chi trasgrediva incorreva nella sanzione penale prevista dal nostro ordinamento, ora sulla base della direttiva Ue e della recente sentenza della Corte Ue sul caso El Dridi (28 aprile, ndr) l’incarcerazione viola i diritti umani fondamentali e il giudice è tenuto a «disapplicare» la legge italiana in quanto contrasta con la direttiva europea. «Personalmente – dice a ilsussidiario.net Marcello Maddalena, procuratore generale presso il Tribunale di Torino – ho sostenuto la tesi contraria a quella che è stata la decisione della Corte; ma ormai è inutile discuterne». Risultato: lo stato deve, in mancanza di una legge italiana che recepisca la direttiva e la sentenza della Corte di giustizia, limitarsi a ordinare il rimpatri all’immigrato, «concedendogli un termine da sette a trenta giorni per l’allontanamento. Dopo di che, allo stato attuale della normativa, non può fare più nulla».
Dottor Maddalena, può spiegare cosa ha deciso nel caso concreto la Corte di giustizia?
La sentenza della Corte di giustizia europea (sul caso El Dridi, ndr) in buona sostanza ha stabilito che, dovendosi rimpatriare un cittadino extracomunitario il cui soggiorno in uno dei paesi comunitari è irregolare, mentre è legittimo ed anzi doveroso fare il possibile – entro certi limiti – per riportarlo in patria in esecuzione di una decisione di rimpatrio, non è possibile infliggergli una sanzione penale per il solo fatto che non obbedisce all’ordine di allontanamento dal territorio nazionale: invece gli Stati «devono continuare ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti».
E quindi?
Di conseguenza, non possono più essere applicate in Italia le norme che punivano con la reclusione da uno a quattro anni di reclusione coloro che non ottemperavano all’ordine di allontanamento del Questore entro cinque giorni dalla sua notifica, e da uno a cinque anni coloro che continuavano a permanere nel territorio dello stato dopo l’adozione di un nuovo ordine di espulsione e di un nuovo ordine di allontanamento del Questore.
Cosa avevano sostenuto i giudici che avevano escluso un contrasto tra la normativa interna e la direttiva rimpatri?
La tesi era che la direttiva comunitaria, riguardando solo la procedura amministrativa di rimpatrio, non escludeva la possibilità per gli Stati membri di sanzionare penalmente le condotte di chi non ottemperava ad un legittimo ordine di allontanamento impartito dalle Autorità nazionali competenti.
È condivisibile a suo giudizio la decisione della Corte?
Personalmente ho sostenuto la tesi contraria a quella che è stata la decisione della Corte; ma ormai è inutile discuterne. Le decisioni della Corte sono assolutamente vincolanti per gli Stati membri.
Si confonde spesso tra reato di inottemperanza all’ordine di espulsione e reato di clandestinità: quest’ultimo reato è rimasto?
Sì, il reato di clandestinità è rimasto ed è anche già stato dichiarato legittimo dalla Corte costituzionale italiana, ma da un lato ai fini del rimpatrio (volontario o coatto) è perfettamente inutile, dall’altro prevede solo una pena pecuniaria che quasi mai verrà riscossa (e se la si volesse riscuotere a tutti i costi, lo Stato finirebbe con lo spendere più di quanto può incassare).
In concreto, quali sono le conseguenze pratiche della decisione della Corte?
In concreto, fino a quando non verrà studiata una nuova normativa (anche di natura penale) nei limiti consentiti dalla interpretazione che della direttiva 115/2008 ha fornito la Corte di giustizia europea, sarà molto più difficile riuscire a rimpatriare gli extracomunitari irregolari provenienti dagli Stati che non collaborano per la loro identificazione (e ce ne sono un bel numero) o di cui non si riesce a stabilire la nazionalità: e questo vale anche per quegli extracomunitari detenuti perché autori di gravi reati su cui converrebbe, a questo punto, concentrare l’attenzione.
Facciamo un esempio concreto: Tizio viene controllato perché entrato clandestinamente in Italia, cosa può fare in concreto lo Stato alla luce dei principi affermati dalla Corte?
Lo Stato può condurlo ai fini della identificazione in un Centro di identificazione; una volta identificatolo entro il termine massimo di sei mesi (che il legislatore nazionale potrebbe prorogare fino ad un massimo di diciotto) può (e deve) disporne l’espulsione e ordinargli il rimpatrio, concedendogli un termine da sette a trenta giorni per l’allontanamento. Dopo di che, allo stato attuale della normativa, non può fare più nulla nei suoi confronti se non ottempera.
E ora secondo lei cosa bisogna fare?
Due cose: sul piano amministrativo, una revisione della politica dei flussi che faciliti l’immigrazione regolare di chi vien alla ricerca di un lavoro secondo le linee indicate da tempo e da ultimo anche in un bel recentissimo libro da Paolo Borgna; sul piano penale prevedere una fattispecie sanzionabile penalmente anche alla luce della direttiva per gli irregolari che non presentano, a richiesta, un documento di identificazione o non collaborano concretamente per la loro identificazione. Per ribadire che almeno finora non vi è il diritto alla clandestinità, e men che mai che un diritto del genere rientra tra i diritti fondamentali dell’uomo.