La trasmissione Invincibili, in onda su Italia 1 e condotta da Marco Berry, presenta le storie di rinascita di persone che dopo grandi sofferenze sono tornate a rivivere. Non mi aspettavo che fosse un bel programma, perché siamo così abituati al trash e alle lacrime facili sui drammi che abbiamo perso la speranza di vedere qualcosa di bello. Invece, abbiamo visto una trasmissione che semplicemente ha fatto quello che deve fare la televisione: raccontare.



Ha raccontato, per esempio, le storie di alcuni abitanti dell’Aquila, mostrandone la forza, la tristezza, i ricordi e le speranze. Ma senza la solita acredine che forse è giustificata, ma non può essere il primo passo dopo la tragedia. Prima viene l’uomo e la donna che si ergono sulle macerie, che piangono e ricostruiscono. Poi cercano il colpevole. Invece sembra che nei drammi e nei disastri l’unica cosa che quando passano in tv resta è cercare una causa, un capro espiatorio o un reprobo da punire, perché rispondere alla domanda “chi è stato?” serve a non porre la domanda “chi sono io?”, “cos’è la morte?”.



Abbiamo visto la storia di un campione sportivo colpito da un tumore e la sua famiglia, e la vita che continua, che esplode prima verso il basso e poi verso l’alto. E le storie eroiche degli abitanti di Serajevo, in cui la gente, secondo il giornalista Toni Capuozzo intervenuto in studio, “non si è data per vinta, non perdendo la propria anima”.

Tanti esempi e tanta buona televisione. E non ci vengano a raccontare che questo serve a non far protestare, recriminare, cercare vendette e colpevoli: la tv sa ancora raccontare o vuole solo inasprire e disamorare alla vita? L’altra sera ci sembra di aver visto il germoglio di qualcosa di nuovo. Certo, la trasmissione è interrotta dagli spot, che ci richiamano alla realtà della tv, soprattutto quello di una marca automobilistica che proclama il nuovo dogma: “Il lusso è un diritto”. Ma qui succede una cosa nuova: per la prima volta lo sentiamo stridere con quello che abbiamo appena visto e che è entrato per un attimo nel nostro cuore. E non è poco. Forse inizia a crollare qualcosa.



Il messaggio della trasmissione è la quotidianità dell’eroismo di tanti, che colpiti dalla sorte si sono rimboccate le maniche, pieni di forza e speranza. E l’eroismo della quotidianità, perché queste persone non si sentono eroiche. E paradossalmente hanno ragione, perché non fanno altro che quello che dovrebbero fare tutti se non avessero i sentimenti atrofizzati: reagire alla durezza della vita, senza cedere alle balle dei predicatori di morte o degli spacciatori di droghe mediatiche che addormentano la mente per non pensare.

Si vergogneranno quelli che di fronte al dolore sanno solo richiedere eutanasia e aborto, dopo aver sentito dire in trasmissione: “Ho capito di più la vita dopo aver rischiato di morire?”. Forse cambieranno canale, ma gli resterà un tarlo dentro, e non è poco.