In questi giorni stiamo assistendo ad un altro tentativo di scardinamento delle regole naturali che presidiano la vita, nella sua realtà biologica, nella sua dimensione affettiva e relazionale, nelle sue implicazioni etiche e morali. Qualcosa che si potrebbe semplicemente definire: contro-natura, qualcosa che forza il senso comune e viene percepito dalla gente come strano; qualcosa che desta stupore, che sorprende e meraviglia al tempo stesso, ma che non dovrebbe accadere. Non è nelle corde della natura, ne forza ritmi e tempi, ma soprattutto ne stravolge le regole, che da sempre sono lì a marcare il senso della vita, il miracolo e il mistero della nascita. Uno stravolgimento percepito come potenzialmente minaccioso per il futuro dell’uomo, per le sue relazioni fondamentali, nonostante un coro, limitato ma insistente e insistito, lo voglia far passare per un successo della tecnica e delle moderne tecnologie volte a soddisfare uno dei desideri più profondi della natura umana: il desiderio di maternità e di paternità.
Due i fatti di cronaca più recenti che dettano queste osservazioni, anche se bisogna ricordare da molti anni è in atto una vera e propria azione di aggressione ai tempi e modi della generazione umana. Un’azione di stravolgimento che è iniziata separando la relazione sessuale tra i due potenziali genitori, in linea di massima sempre fortemente accompagnata da una profonda intensità di affetti e di progetti, dal momento del concepimento. L’aborto da un lato, con il suo no deciso alla vita, quali che siano le ragioni e le motivazioni che spingono ad abortire, e la procreazione medicalmente assistita, la cosiddetta procreazione artificiale, in cui le moderne tecnologie compiono in provetta quello che la natura realizza nella sua quotidianità. Ma mentre inizialmente l’azione di sostegno alla coppia che desiderava avere un figlio mimava nel modo più delicato quanto faceva la natura, ora mano a mano che le tecnologie diventano più sofisticate, il riferimento alla natura diventa sempre più remoto e appare sempre più contro natura.
In concreto le cronache degli ultimi giorni ci hanno raccontato la storia di una donna israeliana che prima di morire ha voluto che i suoi oociti venissero congelati. Dopo circa due anni il vedovo sconsolato ha chiesto ad una clinica specializzata di Tel Aviv che venissero fecondati con il suo seme, chiedendo ovviamente ad un’altra donna di accogliere nel suo grembo il figlio nato dalla fecondazione dell’oocita della moglie e dal suo sperma, e in quanto tale considerato come il figlio concepito con la propria moglie. Nel frattempo l’uomo ha incontrato un’altra donna con la quale ha intrecciato una relazione sentimentale sufficientemente forte da spingerlo a voler formare una nuova famiglia con lei, prendendo con sé il bambino che nel frattempo era nato da un utero evidentemente affittato per lo scopo. 



Un secondo caso, non meno drammatico e complesso è quello che riguarda Eva Ottosson, un’imprenditrice svedese che vive da molti anni in Inghilterra. Davanti ad un apparentemente impossibile desiderio di sua figlia, quello di avere un figlio nonostante la gravissima malattia da cui è affetta, ha deciso di sottoporsi ad un intervento chirurgico tra i primi al mondo. Si tratta del primo trapianto di utero che sia stato mai fatto finora, con prelievo da vivente: la madre, che diventa donatrice alla figlia del proprio utero, per consentirle di diventare madre. Un trapianto che dovrebbe avere una durata limitata nel tempo: non più di tre anni, considerati indispensabili per effettuare alcuni tentativi di gravidanza. L’unico esperimento sul trapianto di utero venne effettuato nel 2000 in Arabia Saudita e si concluse con un fallimento assoluto che spinse i medici a rimuovere con urgenza l’organo trapiantato nel giro di tre mesi, per il rischio di gravi e pesanti infezioni successive. Successivamente, nel gennaio del 2007, al New York Downtown Hospital il ginecologo-oncologo Giuseppe Del Priore assicurò che presto sarebbe stato in grado di effettuare trapianti di utero, ma almeno finora non ve n’è stata traccia. E anche i tentativi sugli animali sono tutti falliti.
Le situazioni umane che inducono a cercare di avere in tutti i modi un figlio, nonostante le difficoltà estreme in cui si trovano le persone, dovrebbero indurci a riflettere sugli sviluppi di una tecnologia che ha perso la sua dimensione umana. Ci manca una forte e potente riflessione sulle Thecnological Humanities, perché le nuove tecniche non si limitano più a cercare di completare quanto la natura da sola non riesce a fare, pretendono di sostituirsi alla natura stessa, alterandone gli aspetti biologici, ma ancor più stravolgendone gli aspetti affettivi e relazionali. Un vero e proprio attentato alla saggezza della natura le cui leggi rispondono esclusivamente a criteri di salvaguardia della vita, della sua qualità e della sua dignità.
Ma accanto a questo capovolgimento delle leggi della natura, che vedono nascere figli da una donna morta e dall’utero di una donna trapiantato nella figlia perché possa diventare madre, nella speranza per lei stessa di diventare nonna, ci si chiede cosa stiano cercando di fare e di dimostrare le équipes dei medici che si dedicano a questi interventi.  



Perché non c’è dubbio che nessun desiderio potrebbe farsi realtà senza la compiacenza para-scientifica, anche se tecnologicamente sofisticata, di questi team. Che un uomo possa desiderare un figlio, rimpiangendo l’opportunità mancata per la morte della moglie, può anche essere espressione di quanto sia radicato nell’uomo il desiderio di paternità.
Che una giovane donna affetta da una rara sindrome di Rokintanski, per cui è nata con un apparato riproduttivo incompleto, desideri un figlio, è solo la conferma di quanto sia profondo e radicato in una donna il desiderio di maternità. Che una madre possa desiderare di dare tutta se stessa alla figlia, e dopo averle dato la vita possa desiderare perfino di darle l’utero in cui l’ha concepita e l’ha accolta quasi trent’anni prima, anche questo conferma fino a dove possa spingersi l’amore materno… Ma che qualche sedicente scienziato possa amare i suoi esperimenti al punto da infrangere una soglia che marcano insieme etica e scienza, diritto e scienze umane, solo per vedere fino a che punto possono arrivare le tecnologie di cui dispongono, questo è molto, ma molto più grave. E pone interrogativi molto seri che possono essere riassunti in una affermazione molto concreta: è lecito fare tutto ciò che tecnologicamente è possibile fare? Fino a che punto scienza e tecnica sono al servizio dell’uomo? O è possibile ribaltare questo criterio fondamentale affermando che è possibile considerare l’uomo come oggetto di sperimentazione al servizio della scienza e della tecnica?
Sono domande a cui sta diventando sempre più difficile rispondere, se si tiene conto dell’insistenza con cui da tante parti si cerca di forzare le tutele che la natura stessa ha posto a difesa della vita umana. Vorremmo che anche la nascita potesse essere guardata con quell’atteggiamento prudente di chi desidera mantenerla lontano dai rischi del nucleare, simbolicamente assunti come l’insieme delle forse distruttive che attentano alla vita, e con quella determinazione con cui abbiamo difesa l’acqua come bene comune, tanto più prezioso proprio perché comune.



La vita, ogni vita, in primo luogo appartiene certamente a chi la vive, ma non è un bene esclusivo, è un bene che tutti siamo sollecitati a tutelare come un bene comune. La stessa legge 194 in prima battuta si definisce come legge sulla tutela sociale della maternità, anche se poi la sua applicazione ha esclusivamente concentrato la sua attenzione sull’interruzione volontaria della gravidanza. Tutelare socialmente la maternità significa tutelarne anche le condizioni umane, l’insieme delle relazioni, che le consentono di svilupparsi e di maturare nel modo più umano possibile. Per questo diciamo un no chiaro e forte a questi esperimenti sulla vita, volti a soddisfare più un compiacimento tecnico-scientifico che un vero bisogno umano. Molti sono i bambini in attesa di adozione che nel mondo intero aspettano una mano tesa, un gesto di affetto e di inclusione, nel calore di una famiglia normalmente predisposta ad accoglierli. Indirettamente anche questi valori e questi suggerimenti possono essere colti dai referendum a cui recentemente abbiamo preso parte, per rinnovare un sì alla vita e un no alla morte.
Immagino cosa accadrebbe se noi a questo punto sottoponessimo a quesito referendario due domande semplici semplici:
1. ritieni giusto che da una donna morta possono nascere figli che non vedrà, che non conoscerà e di cui non potrà farsi carico, grazie ad una relazione che il padre potrebbe avere da un lato con l’utero in affitto di una donna che si presti a questo scopo per motivi diversi – da non escludere quelli economici – e dall’altro con una eventuale nuova compagna, che a sua volta potrebbe dargli nuovi figli?
2. ritieni giusto che venga abolito il comma tre dell’articolo 3 della legge sui trapianti del 1 aprile del 1999, che vieta il prelievo delle gonadi e dell’encefalo? Ritieni giusto che si possa effettuare un trapianto da viventi di utero, intervento finora mai effettuato con successo neppure sugli animali?