Di per sé non mi interessa cosa pensi Veronesi sull’amore e sui sessi. Libero di pensare e dichiarare ciò che vuole. Però la sua recentissima boutade mediatica secondo cui l’amore omosessuale sarebbe la forma di amore più puro mi ha sollecitato a formalizzare un pensiero che da tempo avevo in testa e che muove da premesse assai diverse.



Lo affermo subito: c’è amore dove c’è interesse.

Desumere come sembra fare lui che l’amore (del tutto secondario che nel suo Discorso diventi poi quello omosessuale) sia puro quando disinteressato rappresenta l’ennesimo attacco alla questione del rapporto fra soggetto e altro. Secondo il Professore l’amore fra un uomo e una donna sarebbe infatti contaminato dalla possibilità della procreazione, esprimibile nei termini “io ti amo non perché amo te, ma perché in te ho trovato la persona con cui fare un figlio”. Questo errore, all’interno del Veronesi-pensiero e nel Veronesi-Discorso, non sarebbe presente nell’amore fra due persone dello stesso sesso che si dicono “amo te perché mi sei vicino; il tuo pensiero, la tua sensibilità e i sentimenti sono più vicini ai miei”.



Che il Professore consideri ancora l’amore fra un uomo e una donna finalizzato esclusivamente alla procreazione è un’affermazione che davvero mi stupisce. Sinceramente da lui mi aspettavo qualcosa di assai più progressista. Femmine fattrici e maschi da monta riportano più al regno animale, che a quello umano. Ma questi forse sono solo gli abbagli della medicina ridotta a biologia.

Però devo dare ragione al Professore, tutt’altro che ingenuo, nel voler attaccare la generazione del figlio dentro la logica del suo pensiero; ha saputo infatti cogliere bene nel segno andando a colpo sicuro.



Certo non gli è sfuggito come il figlio rappresenti in modo eclatante uno dei possibili surplus che possono arrivare da un rapporto amoroso. Diciamo che ha colpito uno per tutti, uno rappresentante di tutti. C’è infatti amore fra due soggetti ogni volta che accade qualcosa, c’è amore dove si genera un di più che prima non esisteva: un pensiero nuovo che sorge, il gusto per una cena ben fatta, il commento a un film visto, un viaggio disegnato insieme. Qualcosa che risulta interessante per entrambi. Esattamente come lo è un figlio desiderato e accolto. Altro che disinteresse militato!

Fuori da questa posizione resta quella pura contemplazione dell’altro (non a caso “puro” sembra un aggettivo ricorrente del Discorso) che è propria dell’innamoramento con la sua cieca infatuazione, o di una posizione propriamente narcisistica. In entrambi i casi, dopo un po’, dell’altro non so più cosa farmene. Non mi interessa più, appunto.

L’amore invece genera frutti esattamente come un conto in banca genera interessi.

Ecco perché in fondo non ho mai amato il Professore, senza per questo avercela con lui: perché non mi interessano i suoi pensieri.

Non sono invece disinteressato della mia amante e dei miei amici, che so bene sanno apprezzare il fatto che mi permetto di usarli, senza abuso. Per la produzione di un bene che prima non esisteva, dentro una soddisfazione sempre reciproca.