Clamorosa svolta nel caso riguardante l’omicidio di Meredith Kercher, per il quale Amanda Knox, Raffaele Sollecito e Rudy Guede sono stati condannati, rispettivamente, a 25, 26  e 16 anni. La traccia di dna trovata sul coltello considerato dagli inquirenti l’arma del delitto, secondo i periti genetico-forensi nominati dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, non è attendibile. «Non sono state seguite – spiegano – le procedure internazionali di sopralluogo e di protocollo internazionali di raccolta e campionamento del reperto». Secondo i professori Stefano Conti e Carla Vecchiotti dell’istituto di medicina legale dell’università di Roma, in particolare, «dai tracciati elettroforetici esibiti si evince che il campione indicato con la lettera B (lama del coltello) era un campione Low Copy Number e, in quanto tale, avrebbero dovuto essere applicate tutte le cautele indicate dalla Comunitá Scientifica Internazionale». Ci sono dubbi, inoltre, sulle tracce genetiche ritrovate su reggiseno di Meredith Kercher indossato al momento dell’uccisione. Un perizia che rimette in dubbio l’impianto accusatorio di Amanda e Raffaele (Rudy è reo confesso), rimettendo in discussione la sentenza di condanna e, al contempo, suscitando nell’osservatore comune non poche perplessità. Come è stato possibile, infatti, un tale ribaltamento delle certezze derivanti da responsi scientifici risultanti, in analisi successive, errati? IlSussidiario.net ne ha parlato con il criminologo Salvatore Licata. Il quale è perplesso. «Uno può negare di aver detto una cosa piuttosto che un’altra, e in questo intervengono gli avvocati. Ma, le rivelazioni dei test a base biologica sono prove scientifiche. Esami del genere non vengono fatti in maniera approssimativa, ma danno certezze assolute. Mi sembra strano che si possa modificare la certezza dei dati rilevati sul piano scientifico. In ogni caso, sarà necessario attendere la fine del processo per poter dare un giudizio definitivo». Eppure, pare che non sia la prima volta in cui la scienza forense non sia foriera di certezza così assolte. Come nel caso di Yara Gambirasio. «Quella – afferma Licata – è tutta un’altra storia. La situazione legata a Meredith è tristemente circostanziata. Su Yara è evidente, da quello che le indagini han tirato fuori, che non si sappia neanche dove sia stata uccisa. Le forze della Polizia locale e della Protezione civile, infatti, avevano già battuto il campo in cui il suo corpo è stato ritrovato. La storia, considerati i tempi che ci sono voluti per trovarla,  è decisamente complessa, dai contorni intricati». In molti, tuttavia, si domandano perché sia stato necessario tenere il cadavere in obitorio per tanto tempo. 



«Gli accertamenti di natura organica, repertare le condizioni fisiche e valutare il deterioramento organico – risponde – necessitano di tempi che sono stati rispettati. Gli investigatori, quindi, hanno fatto e stanno facendo il loro dovere». E il delitto di Garlasco, quando tutti additavano Stasi come “il mostro”, e che poi venne assolto? «Gli errori sulla scena del crimine – afferma – possono capitare. Nel momento in cui, per esempio, entrano troppe persone e ci sono situazioni di inquinamento del contesto del reato, ci possono essere vari problemi». Di una cosa, Licata, resta certo: «Non credo che ci si affidi troppo alle metodologie scientifiche. Il sistema della ricerca della verità si muove secondo i binari delle indagini tradizionali che usano anche strumenti scientifici. Tali rilevazioni danno un supporto notevole alle indagini, ma sempre dal punto di vista strumentale. E’ come se a Sherlock Holmes, invece della lente, gli fosse stato dato in mano uno strumento infinitamente più affinato». 

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