Il Comune di Milano, come prescrive la legge, assicura un posto a scuola – parliamo di scuole dell’infanzia – a tutti i bambini cui genitori ne facciano richiesta. Aggiudicarsi questo posto, però, è una corsa a ostacoli. E perderlo è un attimo.
L’ignaro genitore, ponendo la propria firma in calce all’atto dell’iscrizione del proprio figlio all’asilo, è convinto di averlo sistemato. E invece no. Perché, con la firma, dichiara di aver letto e accettato anche le famigerate “note informative”. Sei pagine fitte fitte di regole e cavilli paragonabili a quelle che certi sedicenti sondaggisti spacciano agli angoli delle strade per vendere a rate le loro enciclopedie.
Ebbene, il genitore non lo sa, ma il Comune, come la legge, non ammette ignoranza. E le note informative parlano chiaro: firmare la domanda di iscrizione del proprio pargolo a scuola è un conto, iscriverlo è un altro. Bisogna mettersi in coda. Perché le graduatorie non ci sono solo per gli insegnanti: ci sono anche per i bambini di tre anni. Che giustamente imparano subito a fare i conti con la precarietà.
Così il termine di pubblicazione delle graduatorie, che il Comune fissa a una data imprecisata, ma comunque entro il mese di giugno, è quanto di più aleatorio ci sia a Milano. Graduatorie attese a giugno e invece pubblicate a luglio, se non ad agosto. Dunque i genitori devono monitorare costantemente il polo scolastico di appartenenza o il sito internet del Comune. E non appena la famigerata lista con i nomi dei ragazzini e la scuola alla quale sono stati assegnati – attenzione: assegnati e non iscritti, perché manca ancora un passaggio – deve precipitarsi al polo scolastico. A fare che? Un’altra firma. Per dire che sì, aveva richiesto l’iscrizione del figlio, e che no, nel frattempo non ci ha ripensato, e che sì, accetta il posto. Manco fosse un’assunzione. Dalla pubblicazione delle graduatorie definitive alla corsa al polo scolastico non devono passare più di cinque giorni, sabati e domeniche compresi. Altrimenti il Comune considera il bambino rinunciatario. Ma come? Prima precario, poi rinunciatario? Ebbene sì: la vita è dura, ed è bene che il piccolo lo impari subito.
Il fatto che non si sappia mai esattamente quando le graduatorie vengano pubblicate e la necessità di correre a firmare entro cinque giorni impone alle famiglie di non allontanarsi da Milano, nonostante i 38 gradi all’ombra. Perché capita che vengano pubblicate le graduatorie a tradimento proprio in quei quattro giorni che per capriccio si è deciso di passare fuori Milano alla ricerca di un po’ di frescura. E al ritorno si rischia di trovare in casella un telegramma: spiacenti, il bambino salta l’anno scolastico. Ma come? Certo: di fatto avete rinunciato al posto, sta tutto scritto nelle note informative.
Fermo un turno, con buona pace di mamma disoccupata che, non potendosi permettere la baby sitter, deve rimandare ancora un po’ la ricerca di un nuovo impiego, l’anno successivo non ci si fa più fregare. Peccato però che arrivi un trasloco nel momento meno opportuno: l’inizio dell’anno scolastico. Per poter fare domanda di trasferimento, però, il bambino deve iniziare a frequentare la scuola alla quale è stato assegnato. Anche se si trova dall’altra parte della città. Se non frequenta, perde il posto. Se perde il posto, non può chiedere il trasferimento. Un circolo vizioso al quale le solerti funzionarie di scuole e ufficio iscrizioni tentano di porre fine sollecitando la rinuncia al posto ottenuto con tanta fatica. Se il genitore abbocca, le funzionarie gongolano: non è per cattiveria, ma il Comune dà loro solo pochi giorni di tempo per stabilizzare la situazione posti a scuola. Così qualunque colpo basso diventa lecito. Anche non dire al genitore che, se rinuncia al posto nella speranza di ottenerne uno in una scuola più vicina alla nuova casa, sbaglia di grosso, perché per le iscrizioni fuori termine la speranza è vana. E il bambino salta un altro anno.
Ma il genitore non abbocca, tiene duro e alla fine un posto, anche se non proprio sotto casa, si libera. In compenso, a fine maggio il bambino si ammala. Poco male, pensa l’ignaro, perché tanto la scuola sta per finire. E infatti lo aspettano i nonni che hanno preso in affitto una casetta al mare per passare con lui il mese di giugno. Peccato però che malattia più vacanza al mare uguale più di 30 giorni consecutivi di assenza. Ingiustificata, dato che l’unica giustificazione ammissibile dev’essere firmata dal pediatra. E cosa succede, note informative alla mano, se il bambino sta a casa più di 30 giorni per qualcosa che non sia una malattia? Esatto: perde il posto, appena confermato per l’anno successivo. Aridaje.
Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti non è casuale: è quel che è successo a mio figlio Matteo. Che va all’asilo ma è già un precario.