Paura in provincia di Rieti, oggi 13 luglio, per due scosse ravvicinate. La prima, avvertita intorno alle sei del mattino, ha toccato i 2,8 gradi di magnitudo della scala Richter. Ben più consistente quella registrata pochi minuti prima di mezzogiorno che ha toccato invece i 3,6 gradi della scala Richter. Ci sono state diverse telefonate ai vigili del fuoco ma fortunatamente non si è registrato alcun danno a edifici o persone. Le scosse si sono registrate nel distretto sismico dei Monti Sabini, e la seconda è stata avvertita anche in Umbria, precisamente a Terni. Si è attivata anche il presidente della regione Lazio, Renata Polverini, che ha rassicurato la popolazione: “Non risultano al momento danni a cose o persone, le squadre della Protezione civile regionale, impegnate sul territorio per effettuare le opportune verifiche, sono pronte ad intervenire qualora fosse necessario, e stanno dando tutte le informazioni utili a rassicurare i cittadini che hanno chiamato la sala operativa dopo aver avvertito la scossa”. IlSussidiario.net ha parlato in esclusiva con il professor Gasparini, sismologo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per chiedere approfindimenti sulle due scosse.
 



Professore, la provincia di Rieti è stata colpita stamane nel giro di circa sei ore da due scosse sismiche, la seconda delle quali di magnitudo 3,6. Un possibile sciame sismico o un evento differente?

Teniamo conto innanzitutto che il distretto in questione, quello dei Monti Sabini, è un’area sismicamente attiva, per cui soggetta a queste situazioni. Le due scosse riavvicinate nel tempo potrebbero indurre a pensare che si tratti del segnale dell’inizio di un periodo sismico di una certa frequenza a livello di scosse. Va poi detto che la zona era già stata interessata per via del terremoto dell’Aquila di due anni fa, un terremoto che ha provocato in questo distretto squilibri sismici antecedenti a quello di oggi provocando un assestamento che rientra nella normalità di questi fenomeni.



La zona dei Monti Sabini non ha a che vedere dal punto di vista sismico con quella che scatenò il terremoto dell’Aquila?

Assolutamente no. Si tratta di due zone sismiche diverse tra di loro seppur ravvicinate. In questa zona dell’Appennino c’è una continuità sismica che coinvolge la valle dei Sabini e l’estremo meridionale della valle reatina, qui siamo nella parte più meridionale di un complesso sismico unico interamente attivo.

La seconda scossa, quella che ha toccato i 3,6 gradi della scala Richter, ha provocato paura nella popolazione ma fortunatamente non si sono registrati danni agli edifici.



Ci mancherebbe altro. Se una scossa di 3,6 gradi, inferiore al quarto grado della scala, provocasse danni agli edifici, sarebbe fortemente preoccupante. Vorrebbe dire che ci troveremmo di fronte a una edilizia ben peggiore di quella che Mercalli all’inizio del Novecento identificò come soggetta a danni sismici. Ricordiamo sempre che per cominciare ad avere dei danni agli edifici bisogna toccare il settimo grado della scala Richter: in tal caso si assiste al cadere di tegole a qualche piccola crepa nei muri. Solo con l’ottavo grado cominciano i guai seri, i danni consistenti.