L’Istat ha rilasciato oggi il suo annuale rapporto sulle condizioni medie degli italiani. I dati, come vengono riportati oggi dai maggiori media, fanno riferimento al 2010 e sono terrorizzanti: “Oltre tre milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta”. Un milione e 156.000 famiglie in condizioni di povertà assoluta (il 4,6% di quelle residenti), per un totale di 3 milioni e 129.000 persone (il 5,2% della popolazione residente). L’Istat segnala il livello di povertà assoluta quando un nucleo familiare composto da due persone non riesce a spendere più di 992,46 euro al mese ogni due componenti. Non solo. Sempre secondo l’Istat ci sono anche 8 milioni 272 mila poveri, il 13,8% dell’intera popolazione. Qua il numero delle famiglie che vivono in condizioni di “povertà relativa” sono 2 milioni e 734 mila (l’11% di quelle residenti). Sono le famiglie che non possono permettersi di accedere a beni e servizi essenziali con cui ottenere uno standard di vita “minimamente accettabile”. Una situazione drammatica. IlSussidiario.net ha voluto cercare di capire cosa significano esattamente queste cifre chiedendo l’opinione di un esperto, il Prof. Giancarlo Rovati, docente di Sociologia generale presso l’Università Cattolica di Milano.
Per come vengono riportati sono dati preoccupanti. Qual è la sua lettura?
Il dato di per sé, tre milioni e passa di persone che vivono in uno stato di povertà assoluta che poi corrisponde a un milione e 156mila famiglie, è un dato che non dovrebbe sorprendere. Sostanzialmente infatti è in linea con i dati degli ultimi anni. Purtroppo è rimasto costante.
Perciò, il modo giusto per dare la notizia senza generare allarmismo in un momento di crisi economica è: siamo in una situazione sostanzialmente stabile, chi si aspettava un peggioramento può tirare un sospiro di sollievo. Parliamo comunque di un dato che coinvolge oltre tre milioni di persone.
Si usano dei parametri per definire la linea di povertà assoluta. Essa dovrebbe corrispondere a un nucleo di due persone che non può permettersi di spendere mille euro al mese. In questa cifra di cosa si tiene conto esattamente?
Si tiene conto ad esempio della spesa per l’affitto, ma non di quella per il mutuo, che non viene considerato un consumo, ma un investimento. Anche se dal punto di vista pratico uno che deve sborsare una cifra mensile per il mutuo è come se si privasse dell’equivalente di un affitto. Il dato Istat in realtà proprio per questi particolari sottostima le reali difficoltà economiche delle famiglie italiane.
Cosa calcola allora l’Istat per arrivare a questi dati?
L’Istat ha stabilito un paniere di beni standard medi per l’Italia, beni che sono considerati necessari per una vita mediamente dignitosa. Si fa una stima di quanto essi valgano economicamente. I dati di cui tiene conto l’Istat per definire i casi di povertà assoluta sono dati che fanno riferimento allo stile di vita dei paesi ricchi, non certo di quelli del terzo mondo dove si calcola in un dollaro quanto una persona spende al giorno per sopravvivere. Le nostre sono cifre ovviamente ben più alte. Dire povertà assoluta in Italia non vuol dire che una persona vive in mezzo alla strada.
La nuova manovra finanziaria inciderà su questo panorama?
Non stiamo parlando dei dati sui consumi medi, ma di consumi inferiori alla media. Che essendo già ai minimi termini non avendo le perosne elasticità nella spesa mensile, se la situazione dovesse peggiorare non avranno la possibilità di tagliare ancora sui consumi.
Cioè?
Se l’economia non cresce i consumi non crescono e anche il numero dei poveri rimane stabile. I poveri crescerebbero se ci fosse un aumento dei consumi, cosa che viene determinata dalla fasce medie alte. Questa crescita dei consumi porterebbe la spesa media più in alto dunque crescerebbero le persone sotto l’asticella, cioè i poveri. E’ un po’ come dire che se noi fossimo alti sempre uguali e si stesse alzando la media delle persone più alte, noi sembreremmo più bassi quando in realtà siamo sempre uguali.
L’Istat rivela che la situazione peggiore è al Meridione. La Lombardia viceversa è considerata al regione con il livello di povertà più basso, eppure ha un costo della vita molto superiore a quello delle regioni del sud. L’Istat tiene conto anche di questo nei suoi conti?
Per capire le differenze tra le regioni vanno considerati i valori relativi perché la povertà relativa è misurata con una soglia media nazionale. Essa sottostima la povertà nelle regioni più ricche e sovrastima la povertà nelle regioni più povere. Invece se vogliamo fare confronti fra regioni la regola è prendere la povertà assoluta, perché calcolata in modo da tenere conto anche del costo della vita. La povertà relativa misura l’uguale distribuzione di reddito, la povertà assoluta invece misura le reali difficoltà del vivere quotidiano.