Vittorio Agnoletto, portavoce storico del Genoa Social Forum durante il G8 del luglio 2001 a Genova, è ancora uno dei protagonisti del movimento mondiale no global. Come tale, è tra gli animatori degli eventi che si tengono in questi giorni a Genova per ricordare proprio il G8 di dieci anni fa. Agnoletto, agli eventi di allora, ha dedicato un libro, fresco di stampa, intitolato L’eclisse della democrazia (Feltrinelli) scritto con il giornalista Lorenzo Guadagnucci. Per Agnoletto, come ci dice in questa intervista esclusiva rilasciata a Ilsussidiario.net, il G8 del luglio 2001 non sarà chiuso “fino a quando un rappresentante dello Stato non chiederà scusa per le violenze subite allora dai manifestanti”.
Che cosa prevede il programma del decennale del G8, in termine di iniziative previste?
Un programma molto fitto, iniziato ieri con un incontro con i rappresentanti dei movimenti del Maghreb per discutere le rivoluzioni del Nord Africa. Oggi in mattinata seminari e conferenze e al pomeriggio in Piazza Alimonda un momento in ricordo di Carlo Giuliani. Il 21 sarà la “giornata della memoria”, interamente dedicata alla ricostruzione degli eventi di 10 anni fa con testimonianze di protagonisti. Nel pomeriggio un incontro con Livio Pepino di Magistratura Democratica sul tema della riforma della polizia, alle 20.30 dello stesso giorno la consueta fiaccolata che si tiene tutti gli anni davanti alla scuola Diaz. Il pomeriggio del 23 un corteo e un concerto in piazza e il 24 assemblea conclusiva a dimensione europea per decidere l’agenda comune dei prossimi mesi del Forum.
Dieci anni dopo, come si può definire il Forum Sociale Mondiale e quali sono i collegamenti con i nuovi movimenti nordafricani?
Nonostante la forte repressione di dieci anni fa effettuata a Genova, il Forum ha continuato a espandersi in tutto il mondo, anche in Africa, tanto è vero che abbiamo tenuto i nostri appuntamenti annuali ad esempio a Nairobi nel 2007, nel 2011 a Dakar e il prossimo si terrà a gennaio del 2013 o in Tunisia o in Egitto. Il Forum ha fatto da riferimento a quei movimenti che negli ultimi tempi si sono mostrati protagonisti delle rivolte nordafricane. Nelle loro motivazioni c’è certamente al primo posto l’esigenza di democrazia contro regimi dittatoriali, ma c’è anche, inerente ai nostri temi, il problema economico. Noi diciamo: “Se volete capire cosa succede in Nord Africa, guardate a cosa succede anche a Chicago”.
Nella città americana c’è la borsa mondiale dei prodotti agricoli.
Infatti. Lì, sette multinazionali hanno già acquistato il 50% dei prodotti agricoli che si produrranno nei prossimi cinque anni, determinandone così i costi a livello mondiale. L’agricoltura in Nord Africa è passata dal consumo locale a mono culture finalizzate all’esportazione; questi Paesi hanno così sviluppato un indebitamento e una povertà che sommati alla mancanza di libertà hanno prodotto le rivolte che abbiamo visto. Il mondo che abbiamo davanti adesso è il mondo che purtroppo noi avevamo previsto 10 anni fa: dicevamo un altro mondo è possibile, oggi diciamo che un altro mondo è urgente.
Ci sono dei partiti politici oggi in Italia verso cui voi guardate e che sostengono il vostro movimento?
Riteniamo che la vittoria ai referendum su acqua e nucleare sia il germoglio del seme che abbiamo lanciato 10 anni fa a Genova. La radice delle vittorie referendarie è nata a Genova, è a Genova che è nato il concetto di beni comuni, l’acqua come patrimonio dell’umanità e non come merce. I referendum che abbiamo vinto hanno avuto l’appoggio delle forze che voi giornalisti chiamate sinistra radicale, noi chiamiamo semplicemente sinistra. Il resto dei partiti, il Pd per primo, si è accodato solo all’ultimo momento. Siamo assolutamente convinti della necessità che il movimento italiano, ma anche quello mondiale, debba mantenersi autonomo dalle forze politiche. Uno degli elementi che ha giocato negativamente sul movimento italiano è stato la vicenda del governo Prodi, un governo che aveva suscitato aspettative ma che non ha realizzato nulla nella direzione indicata dal movimento, anzi è andato avanti con le privatizzazioni. Oggi in Italia le forze a sinistra del Pd sono quelle più vicine a noi ma ogni forma di collateralismo sarebbe sbagliato. Sui cambiamenti politici ognuno abbia i suoi giudizi, ma l’obbiettivo sui contenuti condivisi è quel che deve tenerci assieme.
Il Genoa Social Forum nasce molto prima del luglio 2001. Che cosa sapevate allora dei black bloc, vi aspettavate la loro infiltrazione nelle manifestazioni?
Il Genoa Social Forum nasce nel novembre del 2000, raccogliendo oltre 1.600 associazioni di tutto il mondo, circa un migliaio italiane. Avevamo preparato un documento in cui si diceva chiaramente che il nostro movimento era pacifico e le nostre proteste si sarebbero svolte nel rispetto delle persone e delle cose. Nelle ultime settimane prima del G8 fummo criticati da piccoli gruppi italiani che ci accusavano di aver scelto una forma di protesta sbagliata, quella pacifica…
Ma dei black bloc nessuno sapeva nulla?
No. I black bloc non sono un movimento con un vertice, dei capi. Sono gruppi spontanei che si organizzano sul momento tramite la Rete. In Italia erano assolutamente sconosciuti. Non è poi dovere di un movimento garantire l’ordine pubblico attraverso l’uso della forza. Le autorità devono garantire la possibilità, come prevede la Costituzione, di pacifiche manifestazioni di protesta garantendo nel medesimo tempo la sicurezza di tutti i cittadini.
E qual è il vostro giudizio sui black bloc?
Quello di dieci anni fa. I Black bloc hanno pratiche e obiettivi che sono in contrasto con il nostro movimento anti liberista e sono contrari sul piano etico e sociale ai nostri ideali. La lotta alle multinazionali non passa dalla distruzione di un bancomat, questo tipo di azione crea solo una immagine disastrosa di tutto il movimento e mette a rischio l’incolumità delle persone. Nel pomeriggio del 20 luglio, prima dell’uccisione di Carlo Giuliani, un gruppo di loro tentò di entrare nella sede del Forum e io stessi fui vittima di una aggressione il 21 luglio. C’è da chiedersi piuttosto come mai i black bloc poterono arrivare a Genova, compiere le loro distruzioni e poi allontanarsi senza che uno di loro venisse arrestato.
Le forze dell’ordine nei giorni precedenti agli scontri ne avevano fermato diversi, sequestrando armi e oggetti contundenti ma evitando gli arresti per tenere basso il livello di tensione ed evitare che arresti preventivi scatenassero proteste.
Una ricostruzione fantasiosa. Nel mio nuovo libro, L’eclisse della democrazia che ricostruisce proprio i fatti di Genova, parlo di un documento della questura di Genova di cui sono venuto a conoscenza solo recentemente che dice come le forze dell’ordine sapevano benissimo che in Italia sarebbero giunti elementi pericolosi da tutta Europa. Le forze dell’ordine erano informate sui black bloc. Noi riteniamo ci si a stata una strategia che ha usato i black bloc come scusa per gestire in modo duro una repressione decisa a priori.
Come giudica l’episodio della scuola Diaz?
L’episodio oggi è chiarissimo, ci sono le sentenze dei giudici, ci sono documenti precisi che presento nel mio libro, scritto insieme a Lorenzo Guadagnucci che fu una delle vittime del blitz alla scuola Diaz quel giorno. Importante è conoscere il ruolo di Ansoino Andreassi, vice capo della polizia vicario presente a Genova, messo da parte quel sabato mattina dal capo della polizia Gianni De Gennaro. Venne sostituito improvvisamente da La Barbera, che arrivò a Genova alle 4 del pomeriggio di sabato. Andreassi aveva fatto presente che ormai il grosso delle violenze era finito e bisognava attendere solo il deflusso dei manifestanti da Genova.
Invece?
Invece viene messo da parte. Sceglie di non partecipare all’ultima riunione che prepara l’assalto alla Diaz e poco dopo i fatti di Genova viene accantonato e poi mandato in prepensionamento. Andreassi è l’unico dei dirigenti di alto livello delle forze dell’ordine che abbia collaborato con la magistratura, ed è l’unico che non farà carriera. Vanno rispettati quei rappresentanti della polizia che, come lui, hanno cercato di svolgere onestamente il loro lavoro.
Chi ha deciso allora l’assalto alla Diaz e perché?
Lo dicono i magistrati: tutto il gotha della polizia italiana. Vi è il coinvolgimento dello stesso De Gennaro, lui come altri poi condannati: De Gennaro, ad esempio, a un anno e quattro mesi per induzione alla falsa testimonianza del questore Colucci. E anziché essere rimossi dal loro incarico, sono stati tutti promossi dai vari governi, che si chiamassero Prodi o Berlusconi. La politica infatti lanciò un messaggio ben preciso ai magistrati dicendo loro che indagare sul G8 alla politica non faceva piacere. Dietro a tutto questo disastro c’era il gruppo dirigente della polizia che, tra l’altro, aveva bisogno di accreditarsi presso il nuovo governo. Difatti quel gruppo dirigente dopo i fatti di Genova diventa inamovibile e viene promosso in blocco. Abbiamo assistito a un accordo bipartisan tra destra e sinistra per approvare il loro lavoro.
Della morte di Carlo Giuliani che giudizio ha oggi?
Sia io che i genitori di Giuliani abbiamo molti dubbi che a sparare sia stato il carabiniere Placanica. Noi pensiamo sia stato usato come capro espiatorio. Un mese e mezzo prima dei fatti di Genova (nel mio libro è possibile vedere questo documento) due poliziotti di un quartiere periferico romano trovano in un bidone della spazzatura un documento dei servizi segreti, che dice testualmente: a Genova sarà ucciso un giovane manifestante da un poliziotto o un carabiniere di leva. Nessuno ha mai spiegato cosa fosse quel documento. Il fatto che non si sia mai voluto tenere un processo sul caso della morte di Giuliani archiviando tutto come legittima difesa non ha permesso di fare luce su quel fatto.
È possibile che da questo decennale del G8 di Genova arrivi un messaggio di riconciliazione tra le parti coinvolte?
Guardi, nel luglio 2002, un anno dopo il G8, noi organizzammo un incontro a Genova a cui invitammo rappresentanti delle forze dell’ordine. Fu un fiasco totale, vennero in pochissimi e non dissero nulla di costruttivo. Sono dieci anni che aspettiamo un messaggio di scuse da parte di un rappresentante dello Stato per le violenze subite alla Diaz o a Bolzaneto, un messaggio che non è mai arrivato. Noi abbiamo chiaro quale dovrebbe essere il ruolo delle forze dell’ordine in uno stato democratico, ma forze dell’ordine oneste e al servizio dei cittadini; c’è bisogno di forze sane che rispettino la legge. Per 10 anni abbiamo aspettato che dall’interno della polizia si alzasse una voce che prendesse le distanze da quei comportamenti che fanno male ai tanti che, negli apparati dello stato, vogliono svolgere il loro lavoro in modo corretto. E sa chi è l’unico poliziotto che ha detto qualcosa? Il commissario Montalbano, il personaggio di fantasia creato da Camilleri (che non a caso firma l’introduzione al nostro libro) che in un episodio televisivo, vedendo alla televisione i fatti di Genova, si reca a restituire il suo distintivo.
(Paolo Vites)