D’estate, si sa, s’indugia assai volentieri a fare le ore piccole, ancor più se si viene invitati a una festa. Ma quali sono gli ingredienti essenziali di una festa d’estate? Prendo spunto dall’ultima, che ho vissuto in un posto fantastico, la Rocca Isolani di Minerbio di Bologna. La famiglia del conte Francesco Cavazza Isolani, fra l’altro, produce un vino fantastico, che porta il nome di Pignoletto. L’origine del nome deriva addirittura da Plinio che l’avrebbe apprezzato già molti secoli fa. E a buon ragione. Il Pignoletto, al di là del diminutivo (per il gossip di enogastronomia politica segnalo che è anche il vino preferito del premier Silvio Berlusconi), è un bianco di stoffa, paglierino brillante, con profumo di cedro e poi di fiori di sambuco e di senape. Quindi leggermente speziato, morbido quando entra in bocca e piacevolmente acidulo. Al palato il suo aroma permane a lungo e per questo si sposa felicemente coi fritti e coi piatti estivi. (Attenzione, il conte fa anche un Cabernet eccezionale, ma delle due versioni ho preferito quella non affinata in barrique).
Tornando alla festa, il primo problema, quando ci sono tanti invitati, è l’inizio: quando si inizia, chi lo dice? Nell’inizio c’è tutto, come nella creazione (usti, che esagerazione: troppo Pignoletto ieri sera!). Se nessuno dà il via, la cena inizia a trascinarsi stancamente. Ci vuole un colpo di genio. Elena Ugolini l’ha avuto: ha fatto suonare due bravissimi musicisti e subito dopo, senza presentazioni e inutili fronzoli, abbiamo ascoltato insieme il Pignoletto classico 2010. Ecco, adesso la festa può incominciare e sapete perché: tutti i commensali, che non si conoscevano, sono stati accomunati da un’esperienza. Le prime cose che si diranno a tavola è che il sambuco non lo sentivano proprio e che gli archetti dell’alcol non si vedevano.
Ma intanto hanno iniziato a relazionarsi stando davanti a una cosa, il vino, che solitamente si beve senza dargli importanza. Poi gli assaggi a buffet, in modo che chiunque si potesse servire di ciò che desiderava (è una tendenza che piace), ma attenzione, non fate mai mancare verdura in abbondanza, grigliata o fresca già condita con poco olio extravergine, e poi tanta frutta. Salumi, formaggi, piadine e un solo piatto caldo, uno solo. Quando a una festa c’è musica, non si può stare tanto a tavola: bisogna ballare e dare un omaggio antico di sé agli ospiti. E poi si canta, si ride (c’era Paolo Cevoli e appena Elena ha detto che si sarebbe ballato è sbottato: “Ma dai, sull’acciottolato?”. (I comici sono di un’intelligenza superiore: colgono al volo un particolare e lo enfatizzano immediatamente). A una festa ci si ricorda delle relazioni, della sigaretta fumata insieme (o l’antico toscano), ma anche del vino che ha fatto i suoi racconti. Durante una festa non bisogna ostentare abbondanza di libagioni (è fuori moda, è fuori tempo: lo facevano i romani); bisogna invece cercare la chiave per stare con una cosa bella: la Rocca lo era, le persone invitate altrettanto (ricordo il sorriso di una signora, bella di fuori e di dentro, che ha creato le biro coi legni delle barrique di Marco Felluga; ne ricordo un altro che aveva un papillon bellissimo, che gli ho invidiato da subito e il quale è a capo degli albergatori bolognesi; infine, Carlo Chionna, il curiosissimo ragazzo che ha inventato i jeans Jeckerson e che ora ha presentato il nuovo marchio 9.2); i vini del conte, poi, erano perfetti e il Cabernet dopo la mezzanotte era una carezza di calore. Che bella festa!