Oggi, 25 luglio, l’ennesimo terremoto ha creato scompiglio e paura tra gli abitanti di alcune città italiane. La scossa è stata rilevata di magnitudo 4,3 della scala Richter. Tanto timore e agitazione, ma, come riferisce la Proteazione civile nessun danno, né feriti, fortunatamente. Il suo epicentro è stato registrato a 25 chilometri di profondità, nel distretto sismico delle Alpi Cozie, alle coordinate 44,98 Nord e 7,2 Est.



Abbiamo elencato una serie di dati preziosissimi che non sarebbe stato possibile avere a disposizione senza il costante lavoro, 24 ore su 24, degli scienziati dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Chi sono? Cosa fanno? E di che attrezzature dispongono questi uomini? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Amato, dirigente e ricercatore dell’Ingv che opera nella sede romana, la più importante tra la decina presenti in Italia.



In cosa consiste il vostro lavoro?

La nostra sala di monitoraggio è presidiata 24 ore al giorno, tutti i giorni dell’anno, da due esperti di terremoti (in genere due ricercatori) e un tecnico informatico, che si alternato su tre turni. Ogni giorno riceviamo i segnali sismici di varie reti, in particolare la rete sismica nazionale, gestita in remoto, e altri dati da diversi reti su scale globale. La rete nazionale consiste in circa 300 punti di osservazione in cui si trovano uno o più sismometri.

Cosa sono i sismometri?

Sono gli strumenti di alta precisione che registrano le più piccole vibrazione del terreno, anche quando non ci sono terremoti, e li trasmettono alla sala di controllo.  Il rilevamento è continuo, e viene digitalizzato ad un ritmo di, mediamente, 100 campioni al secondo.



Cosa rilevano?

I tre sensori da cui sono costituiti rilevano, fondamentalmente, tre movimenti: quello verticale, quello in direzione Nord-Sud e quello in direzione Est-Ovest.

Cosa ne fate di un tale flusso di dati?

Questi dati vengono ricevuti dai computer della sala di controllo via satellite, o via terra, attraverso cavi telefonici o via internet, su reti dedicate, perché possano pervenire nel giro di pochissimi secondi. Vengono analizzati automaticamente dai calcolatori e, in seguito, visualizzati a terminale come una variazione di vibrazione; variazione che, normalmente, può essere dovuta al vento, al mare, a movimenti antropici, o alle macchine agricole industriali.

 

E quando il movimento è al di fuori della norma?

 

Allora può trattarsi di un terremoto, ma anche di un’esplosione. In quel caso, gli strumenti più vicini al punto di origine, all’epicentro, rilevano una brusca variazione di ampiezza delle vibrazioni e calcolano il momento di arrivo dell’onda P, la prima onda di terremoto. Grazie ad una sorta di triangolazione con i presidi della rete, riusciamo a ricostruire li punto di origine nello spazio, ovvero l’epicentro e l’ipocentro.

 

Quanto tempo passa dalla prima rilevazione alla comunicazione delle informazioni sul sisma?

 

In genere, per individuare l’epicentro, è sufficiente una decina di secondi. In meno di un minuto si hanno le informazioni sulla localizzazione del terremoto e sulla sua magnitudo. Entro due minuti dal sisma avvisiamo, con una telefonata su rete dedicata, la Protezione civile. A quel punto i nostri turnisti incominciano a rianalizzare i dati dei vari sismogrammi sul calcolatore. Nel frattempo, entro cinque minuti dalla scossa, vengono misurate automaticamente informazioni come la magnitudo calcolata e l’epicentro rivisto, e  viene effettuata una seconda telefonata. Dopo di che, entro 15 minuti, abbiamo la localizzazione precisa, con le coordinate, ed entro 30 comunichiamo i dati definitivi alla Protezione civile. Successivamente, viene aggiornato il database e il terremoto è inserito nella pagina web. Questi, i tempi medi; tuttavia, se il terremoto è particolarmente intenso , può essere necessario qualche minuto in più.

 

Quali sono i terremoti “significativi” per i quali ritenete opportuno avvisare la Protezione civile?

 del rischio.

In genere, quelli sopra i 2,5 gradi di magnitudo. Si tratta della soglia oltre la quale, di norma, viene avvertito dalla popolazione. Nella lista dei terremoti del sito dell’Ingv mettiamo anche quelli di magnitudo 2. A volte, tuttavia,  tramite segnalazioni, veniamo anche conoscenza di terremoti di magnitudo 1,5 che vengono avvertiti. In quel caso li pubblichiamo e li comunichiamo alla Protezione civile.

 

Quali sono i terremoti  che fanno danni?

 

Solitamente quelli oltre magnitudo 5.5. Ma se gli edifici non sono resistenti, anche quelli intorno ai 5 gradi.

 

Rispetto alle macchine, che lavoro svolgono i turnisti?

 

Determinano, ad esempio, il tempo d’arrivo dell’onda S. Si tratta dell’onda successiva alla prima, distanziata di qualche secondo. E’ quella che fa i danni, e difficilmente un programma automatico riesce e riconoscerla dalla fase del sismogramma, perché sta nella coda della fase precedente. Quindi, è necessario un occhio esperto che possa determinarne con precisione il tempo d’arrivo. Ricontrollano, poi, tutti i dati, i tempi d’arrivo del sistema automatico e i sismogrammi, inseriscono i tempi d’arrivo delle onde S,  verificano la precisione delle magnitudo, e se non ci siano interazioni con altri terremoti vicini, o errori di rilevazione da parte di altri sismometri nelle vicinanze. E chiamano la Protezione civile.

 

Chi sono e cosa fanno tutti gli altri? Ovvero, tutti quelli che non fanno i turnisti

 

Abbiamo un certo numero di tecnici che hanno il compito di far funzionare i sismometri, di migliorarli e di fare manutenzione. I ricercatori, invece, analizzano i dati di tutte le reti a disposizione, per capire dove sono e che caratteristiche hanno le faglie attive. Studiano, inoltre, la struttura della crosta, e compiono esperimenti in laboratorio, con campioni di roccia messi sotto pressioni, per simulare terremoti e capire come si propagano, ad esempio, le fratture all’interno della roccia, o quali minerali vengono a formarsi. Ci sono, poi, gli studi più teorici: possiamo riprodurre la frattura in una roccia, un rigonfiamento di un vulcano con una camera magmatica che si contrae dopo un eruzione, o gli  effetti della propagazione delle onde sismiche nelle diverse tipologie rocciose.

 

Quali sono gli effetti pratici del vostro lavoro?

 

Tutti gli studi, compresi quelli storici o quelli geologici sulle faglie attive, confluiscono nelle cosiddette carte di pericolosità, in cui viene quantificato – a livello probabilistico – lo scuotimento atteso nelle varie Regioni. È uno strumento essenziale per la pianificazione del territori. L’ultima risale al terremoto del Molise, nel 2002; successivamente, dalle carte si procedette ad una fase normativa. Fu lunga e complicata, con difficoltà, da parte delle Regioni, a recepirla. Si dovette attendere il terremoto dell’Aquila del 2009 per giungere ad una definizione delle norme tecniche.

 

Il vostro prossimo obiettivo?

 

Ora, dato che le mappe individuano le probabilità di scuotimento in un arco temporale molto lungo, anche di 50 anni, stiamo cercando di fare carte di pericolosità a breve termine, 10 anni per esempio, in modo da individuare le arre più vicine al prossimo terremoto.

 

Sta parlando della possibilità di prevedere i terremoti?

 

No, questo è impossibile. Ma conoscendo l’area in cui è probabile che si scatenino, si potrebbero orientare gli interventi di riduzione