Lorenzo Cenzato era un ragazzo di 18 anni di Sovico, un paesino nel Monzese, e mercoledì scorso è morto dopo una discussione per futili motivi con un altro ragazzo ecuadoriano di 17 anni. Raccontano dei testimoni che quest’ultimo, nei momenti di rabbia, faceva spesso il gesto minaccioso di passarsi il pollice da parte a parte sulla gola, come per dire: “Te la taglio”, e ha deciso di risolvere la questione con Lorenzo in questo modo: h afferrato una bottiglia di vetro lì vicina, l’ha rotta su un muretto, e con un unico veloce movimento ha reciso la carotide di Lorenzo, che è morto pochi minuti dopo. L’ecuadoriano, che tutti pensavano si fosse dato alla fuga, in realtà è stato trovato dai carabinieri a una cinquantina di metri dal corpo di Lorenzo, rannicchiato in un cespuglio. Portato in Questura, ha raccontato agli agenti la stessa cosa che da anni dice a tutti: “Quand’ero piccolo ho visto mio papà che moriva, l’hanno sgozzato”. Ancora non si sa se questo racconto sia vero o meno, resta però il fatto che Lorenzo e morto per niente. La sua famiglia, che porterà per sempre questo enorme peso sulle spalle, ha fatto sapere di non provare odio nei confronti dell’assassino, sentimento che va messo da parte “perché la vita va rispettata da parte di tutti”, ha detto la madre. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Luigi Ballerini, psicoanalista ed esperto di educazione: «Personalmente sono contrario a questo determinismo smaccato secondo cui sembra che, date le esperienze di questo ragazzo, non sarebbe potuto capitare altro che questo. È importante chiarire che in ogni atto il soggetto è imputabile di ciò che sta facendo e in ogni istante questo è in grado di valutare e scegliere il suo comportamento nei confronti delle altre persone. È altrettanto vero che, se da una parte tentiamo di andare contro un certo determinismo, dall’altra siamo altrettanto coscienti che un certo tipo di messaggio e di modello riproposto da un padre diventa per un ragazzo quasi irresistibile, e si trova a vivere in un contesto che lo influenza e che può determinare e segnare i suoi comportamenti, ma innanzitutto i suoi pensieri. Dall’altra però in ogni istante ha la possibilità di chiedersi il perché delle sue azioni, e di valutare e giudicare i propri atti, quindi quello che è successo non era inevitabile per il solo fatto di avere avuto un genitore così. Si sono sicuramente presentati altri fattori, che hanno portato alla scelta di risolvere una situazione con un coetaneo secondo una modalità che gli è stata proposta in passato. Ci può anche essere la possibilità che questa morte sia stata mitizzata, nel suo contesto familiare ma soprattutto sociale, e quello che agli occhi di tutti potrebbe sembrare un deterrente, in realtà potrebbe essere diventato un modello da seguire».
Ma il ragazzo potrebbe essere stato colto da un impulso improvviso, un raptus di follia? «Prima di questo atto c’è stato un pensiero, e questa azione è stata pensata come una soluzione, ossia come un modo per regolare la questione che si era creata con un suo coetaneo. Non dobbiamo mai dimenticare che agli atti sono sottesi i pensieri, e l’idea che probabilmente il ragazzo si era fatto era che le persone si regolano in questo modo. Noi genitori diamo ai ragazzi una specie di “bussola” che permetta loro di orientarsi nella realtà e nei rapporti, e la “bussola” che questo ragazzo ha ereditato è diversa, “maligna”. Però in ogni momento dei suoi diciassette anni, ha avuto in mano la possibilità di giudicarla, valutarla e di abbandonarla. Resta comunque il fatto che per giudicarla basta il suo pensiero, ma per abbandonarla e abbracciarne un’altra spesso occorre che ci siano forme di socialità diverse da sperimentare». Cosa dovrà fare il ragazzo colpevole dell’omicidio oltre a scontare la pena? «Dovrà adesso fare un grande lavoro di giudizio, in cui dovrà capire quello che è accaduto, e non capita per forza automaticamente. Speriamo poi che abbia l’occasione di accedere a un altro tipo di “legge” che regola i rapporti tra le persone, anche attraverso la pena che certamente dovrà scontare». Cosa pensa invece del perdono della famiglia di Lorenzo? «Il perdono è esso stesso un giudizio, quindi per accederci c’è bisogno di una elaborazione, e questa famiglia avrà bisogno di tempo per capire l’accaduto e per giudicarlo. La risposta che hanno dato in qualche modo è contro la logica in cui è inscritto il colpevole, quindi questa dichiarazione è certamente positiva però affinché il pensiero sia pieno e concreto ci vorrà senza dubbio del tempo».
(Claudio Perlini)