Immaginatevi Bernardo Caprotti, il patron di Esselunga, che toglie dai suoi scaffali tutti gli ovetti Kinder. O la rete dei quasi tremila supermercati Conad senza neanche più una barretta di Mars. E i 56 ipermercati Auchan rifiutarsi di vendere gli shampoo de L’Oreal. Non ci riuscite?
Per forza: è impensabile che la grande distribuzione si metta di traverso rispetto alle grandi multinazionali, rifiutandosi di venderne i prodotti solo per una questione di prezzo. In fin dei conti, è proprio il caso di dirlo, più è alto, più ci si guadagna. Tutti, ça va sans dire, tranne il consumatore.



Ma se in Italia un’ipotesi del genere è pura fantascienza, altrove, e neppure troppo lontano, succede anche questo. Dove? Dietro l’angolo, in Svizzera, dove Coop, il secondo gruppo di commercio al dettaglio, ha tolto ben 95 prodotti di marca dai propri scaffali: tutta la linea per capelli Studio Line de L’Oreal, i Kinder Ferrero, i Mars Uncle Ben’s. E questo solo per cominciare. Il motivo?



I produttori si rifiutano di abbassare il prezzo nonostante il cambio. Complice la crisi economica globale, e ciliegina sulla torta il declassamento del debito pubblico Usa, infatti, il valore del franco svizzero è aumentato di circa il 25%, tanto da avvicinarsi alla parità con l’Euro. Un disastro per le esportazioni svizzere, ma un potenziale guadagno per tutte le merci importate che, in teoria, dovrebbero costare meno per i consumatori elvetici.

In teoria, ma anche in pratica visto che, dopo un accorato appello del Mister Prezzi locali che non ha sortito alcun effetto, è scesa in campo direttamente la grande distribuzione. «Da mesi aspettiamo che i nostri fornitori condividano i guadagni generati dai cambi con i nostri clienti – ha spiegato il responsabile delle divisioni Acquisti e Marketing di Coop Jürg Peritz – Alcuni lo hanno fatto, ma molte grandi aziende e importatori hanno rifiutato di soddisfare questa richiesta. E siamo intervenuti».



Scaduto l’ultimatum a mezzogiorno di giovedì, Coop, infatti, è passata all’azione mettendo in saldo e ritirando dalla vendita i primi prodotti delle multinazionali. E non è un gesto simbolico: il volume di fatturato al quale corrispondono è di circa 30 milioni di franchi. Che magari non finiranno nelle casse di Coop (anche se i prodotti che escono dal listino saranno tutti sostituiti da altri analoghi), ma sicuramente neanche in quelle dei suoi fornitori.

Teoricamente, in Svizzera dal 2004 è vietata la fissazione verticale di prezzi da pare di fornitori esteri nei confronti di importatori e commercianti. Peccato che nella realtà le cose vadano diversamente, se anche l’economista Rudolf Strahm, in un’intervista a Tages-Anzeiger, ha accusato la Commissione della Concorrenza (Comco) di non rispettare la volontà del legislatore: «Tutti i produttori stranieri di articoli di marca sanno che la Comco è un’autorità poco propensa a decidere. Se oggi disponessimo già di una decina di decisioni della Comco, con relative sanzioni, il settore agirebbe in altro modo ed eviterebbe il rischio di condanne». I prodotti che secondo l’economista vengono venduti a un prezzo troppo elevato sul territorio elvetico sono più di 20mila, per un totale di circa 20 miliardi di franchi di troppo che il Paese paga per prodotti importati.

Senza attendere la Comco, ci ha pensato direttamente la grande distribuzione a muoversi per risolvere il problema. Ma ve l’immaginate, in Italia, i supermercati mettersi di traverso e rinunciare a una fetta del proprio fatturato per salvaguardare le tasche dei propri clienti e contribuire al salvataggio dell’economia nazionale? No? Appunto.