Caro Direttore,
ho accolto con moderata soddisfazione l’approvazione della Camera del Ddl sulle direttive anticipate di trattamento (DAT) l’11 luglio u.s.
Il testo è passato, come hanno riportato i giornali, a scrutinio segreto, con 278 sì, 205 no e 7 astenuti. Passa, in particolare, il nucleo fondamentale del provvedimento, l’articolo 3, con 274 voti favorevoli, 225 contrari e sei astenuti Si tratta della norma che definisce i «contenuti e limiti della dichiarazione anticipata di trattamento (DAT)». Montecitorio dà quindi il via libera ad una formulazione che impedisce la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiali, salvo casi eccezionali, ovvero quando il malato non sia in grado di assorbire tali nutrimenti. Circoscrive, inoltre, le DAT a quei casi in cui sia stata accertata l’assenza di «attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale».
A causa di alcune modifiche al testo licenziato al Senato il 26 marzo del 2009, occorre ritornare a Palazzo Madama. Nel frattempo si sono fronteggiate diverse posizioni, pro e contro il testo di legge, con alcuni interventi piuttosto virulenti. Alcuni ipotizzano un Referendum abrogativo.
Non condivido affatto la posizioni di quanti gridano alla autodeterminazione a oltranza o alla incostituzionalità del ddl.
Mi permetto tuttavia di entrare in merito alla vicenda con alcune osservazioni, essendomi occupato della materia dal 1990, quando negli USA si dibatteva il noto caso della Nancy Cruzan (1). Da allora fiumi di inchiostro si sono versati e anche da noi si è aperta una vasta campagna , fino  alla sentenza della Corte di Cassazione sul caso Englaro (2).
Ciò ha affrettato i tempi (anche se lunghi per qualcuno) che hanno consentito il varo del ddl sopra sintetizzato.
Ora, questa la mia prima osservazione che riguarda l’argomento in generale, se il caso Englaro, come il caso Cruzan, ha portato prima il tribunale a sentenziare e poi il Parlamento a legiferare, ciò è stato a scapito del rapporto medico-paziente, perno fondamentale dell’etica medica e oggi della bioetica, che nessun pronunciamento né giuridico, né legislativo possono codificare. A questa deriva occorre rimediare, per evitare di scendere in arena, come qualcuno ama, per le singole questioni. D’altronde il titolo stesso del ddl parla di alleanza terapeutica.
La seconda osservazione va nel merito del ddl. Se è sacrosanta la difesa della vita del paziente e della somministrazione dell’alimentazione e della nutrizione, mi pare limitativo di fatto l’intervento medico nel caso in questione, se circoscritto all’assenza di “attività cerebrali integrative cortico-sottocorticali”. A parte il fatto che un  consenso su tale osservazione clinica risulta difficile anche tra i neurologi (3), qui si tocca un punto delicato del rapporto tra i principi della bioetica, in particolare quello della autonomia e della beneficialità. Non solo, ma mi sembra che si evacui di fatto il consenso informato e renda difficile la distinzione, anche se il testo lo prevede, dei mezzi straordinari o sproporzionati  da quelli ordinari o proporzionati,  differenza sancita dal Magistero cattolico, fin da Pio XII (4).



La terza osservazione riguarda la soppressione per intero, con un emendamento della maggioranza, dell’articolo 8 del testo presentato, che riguardava la figura sostitutiva (fiduciario o collegio medico nel  testo approvato al Senato), in caso di controversie. Ferma restando la decisione del medico curante (peraltro non vincolata neppure dalle DAT, conforme il pronunciamento di Oviedo), non possiamo a priori escludere dei casi controversi. E qui si forma, a mio avviso, un vuoto legislativo, che porterà inevitabilmente ancora a ricorsi in tribunale.
A  me pare che, pur con una maggioranza qualificata alla Camera e, pensiamo in un prossimo futuro, al Senato, si rischia di approvare una legge, che sortirà opposizioni feroci, o comunque soggetta ai cambiamenti di una futura maggioranza. A mio giudizio, meglio sarebbe un consenso il più condiviso tra gli opposti schieramenti, superando pregiudiziali e posizioni di trincea dei diversi pasdaran, a meno che non si voglia, nel caso nostro, di essere più realisti del re o, come si diceva in questi giorni, più vaticanisti del Vaticano.
Mi permetto allora di riportare un documento del Magistero, che credo possa essere condiviso da molti, se tradotto in formule giuridiche appropriate e sintetiche da chi sarà chiamato a relazionare in Aula, correggendo e sfumando il testo approvato:
«L’ammalato in stato vegetativo, in attesa del recupero o della fine naturale, ha dunque diritto ad una assistenza sanitaria di base (nutrizione, idratazione, igiene, riscaldamento, ecc.), ed alla prevenzione delle complicazioni legate all’allettamento. Egli ha diritto anche ad un intervento riabilitativo mirato ed al monitoraggio dei segni clinici di eventuale ripresa. In particolare, vorrei sottolineare
(cita Giovanni Paolo II) come la somministrazione di acqua e cibo, anche quando avvenisse per vie artificiali, rappresenti sempre un mezzo naturale di conservazione della vita, non un atto medico. Il suo uso pertanto sarà da considerarsi, in linea di principio, ordinario e proporzionato, e come tale moralmente obbligatorio, nella misura in cui e fino a quando esso dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che nella fattispecie consiste nel procurare nutrimento al paziente e lenimento delle sofferenze» (5).
In ciò la Congregazione non fa che ribadire la posizione della Pontificia Accademia delle Scienze del 1985 (6).



Come sempre però la Chiesa è realista quando traccia i limiti di queste cure: “Nell’affermare che la somministrazione di cibo e acqua è moralmente obbligatoria in linea di principio, la Congregazione della Dottrina della Fede non esclude che in qualche regione molto isolata o di estrema povertà l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano non essere fisicamente possibili, e allora ad impossibilia nemo tenetur, sussistendo però l’obbligo di offrire le cure minimali disponibili e di procurarsi, se possibile, i mezzi necessari per un adeguato sostegno vitale. Non si esclude neppure che, per complicazioni sopraggiunte, il paziente possa non riuscire ad assimilare il cibo e i liquidi, diventando così del tutto inutile la loro somministrazione. Infine, non si scarta assolutamente la possibilità che in qualche raro caso l’alimentazione e l’idratazione artificiali possano comportare per il paziente un’eccessiva gravosità o un rilevante disagio fisico legato, per esempio, a complicanze nell’uso di ausili strumentali” (7).
Tale posizione, ad onta di quanti si “accaniscono” di parlare di “accanimento terapeutico” è ed è stato sempre presente nella posizione della Chiesa, a partire da Pio XII(8) al Documento della Congregazione per la Dottrina della fede sull’eutanasia (9).
A chi ci considera intolleranti possiamo rispondere in maniera serena che la Chiesa è  sempre “mater et magistra”. Potremmo dire che è maestra, perché è una madre che tiene presenti tutti gli aspetti di una vicenda che riguarda i suoi figli. La carezza del Nazareno continua oggi attraverso la carezza della Madre Chiesa.



(1) PUCA, A., Il caso di Nancy Beth Cruzan, in “Medicina e morale”, 5 (1992), 911-932; trad. spagnola in “Medicina y Etica”, 4 (1993), 99-120.
(2) IDEM, Intervista alla Bioetica, LER Editrice, Marigliano-Napoli 2009, p.72. Suprema Corte di Cassazione, sentenza n. 27145 dell’11 novembre 2008, depositata il 13 novembre 2008.
(3) President’s Council on Bioethics, “Controversies in the Determination of Death. A White Paper by the President’s Council on Bioethics”, Washington, D. C., 2008, pp. 89-90.
(4) Pio XII, Allocuzione al Congresso Internazionale di Anestesiologia, 24 nov. 1957, AAS 49 (1957), pp. 1031-1032. Congregazione per la Dottrina della fede, Dichiarazione sull’eutanasia, 5 maggio 1980, AAS 72 (4), p. 542.
(5) Congregazione per la Dottrina della fede, L’Osservatore Romano,14 sett. 2007. Si può citare anche il Documento del CNB italiano su “L’idratazione e la nutrizione ai pazienti in stato vegetativo persistente” del 30/09/2005, che manifesta però la stessa posizione.
(6) Pontificia Accademia delle Scienze (C. Chagas Ed.), Working Group on the artificial prolongation of life and the determination of exact moment of death, Città del Vaticano, 1985.
(7) Congregazione per la Dottrina della fede, op .cit., 14 sett. 2007.
(8) Pio XII, Allocuzione al Congresso Internazionale di Anestesiologia, 24 nov. 1957, AAS 49 (1957), pp. 1031-1032.
(9) Congregazione per la Dottrina della fede, Dichiarazione sull’eutanasia, 5 maggio 1980, AAS 72 (4), p. 542.

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