Una straordinaria fotografia su Il Corriere della Sera di martedì 2 agosto metteva in scena simultaneamente uno yacht di turisti che, attraversando la baia di Lampedusa, guardavano sul molo la lunga fila di sacchi blu contenenti i cadaveri recuperati dopo la tragedia dell’imbarcazione di emigranti appena approdata.
Si trattava dei venticinque morti asfissiati nella stiva a cui era stato impedito dai trafficanti di vite umane di risalire in coperta per respirare e salvarsi da una morte terribile. La scena, come sottolinea in un commento Isabella Fedrigotti, rende plasticamente la scissione drammatica fra il mondo dei vacanzieri europei e il mondo dei disperati africani.
Morti per asfissia nella stiva di un peschereccio che rappresentava per quei “poveri cristi” l’ultimo tentativo di sfuggire alla fame, alla miseria e alla persecuzione militare dei rispettivi Paesi. Morti asfissiati. Provate ad immaginare. È una morte terribile, lenta, in cui si prova la tragica esperienza del venir meno del respiro che da sempre è il segno dello scambio vitale fra sé e il mondo esterno. Manca l’aria, il cervello non ossigenato si va spegnendo e ciascuno assiste impotente alla morte propria e a quella degli altri compagni. Mentre provi ancora a forzare i tuoi polmoni, vedi accanto a te spegnersi tuo fratello, tua moglie, il tuo bambino. In tutti i paesi in cui è prevista la condanna a morte, si cerca di ridurre la sofferenza degli ultimi istanti. Nella morte per asfissia l’agonia è lenta e terribile.
Quei venticinque morti sono i testimoni terribili di una indifferenza globale verso tutti i naufraghi che il mondo dei ricchi abbandona alla deriva lungo il suo tumultuoso processo di lotta per difendere privilegi e poteri, benessere e lusso fatto di sprechi e soprusi. È uno dei tanti episodi dell’asfissia della speranza che i nuovi mendicanti del mondo portano sulle carrette in partenza dalla costa africana verso le spiagge italiane.
Non voglio fare forzature interpretative, ma negli stessi giorni si dibatteva aspramente della crisi economica e finanziaria americana. Obama ha cercato di salvare gli Stati Uniti dal fallimento ormai alle porte con un compromesso con i Repubblicani che hanno ottenuto, in realtà, una grande vittoria, imponendo al presidente americano tagli della spesa sociale e drastiche riduzioni di ogni intervento pubblico a sostegno delle classi medie e delle classi povere.
In un commento apparso in uno dei più noti giornali degli Stati Uniti, una brillante commentatrice di fatti politici ha scritto che i tagli imposti al bilancio di Obama colpiranno soprattutto l’infanzia e specialmente i bambini delle famiglie più povere che non avranno le risorse necessarie per poter garantire la loro crescita normale. Scrive testualmente Vanden Heuvel Katrina (riportata dal Corriere): “Venticinque milioni di persone necessitano di una qualche prospettiva di lavoro a tempo pieno e la maggior parte degli americani è nettamente contraria a tagliare la spesa destinata al sempre maggior numero di bambini poveri mentre vengono iperprotetti i paradisi fiscali dei milionari”.
Questo commento mi colpisce non tanto perché segna la fine del mito di Obama come grande innovatore della politica mondiale a favore della patria e della giustizia, ma perché indica ancora una volta le vere vittime dei processi economico-finanziari che stanno travolgendo gli equilibri di tutti i paesi dell’Occidente. Un bambino che non può crescere bene e i cui genitori non hanno la sicurezza economica per mantenerlo a uno standard di vita normale, è un bambino condannato all’asfissia, giacché tutte le sue caratteristiche e potenzialità di essere umano saranno soffocate dal peso della miseria e della povertà.
In verità si muore asfissiati in un barcone, ma anche in una povera stanzetta di una famiglia ai limiti della sopravvivenza sociale che abita in una delle tante metropoli dell’Occidente europeo e americano. L’operaio licenziato sceglie di suicidarsi; il giovane escluso da un concorso, magari truccato, si impicca nella stanza di casa sua; moltissimi giovani vanno allo sbando per mancanza di prospettive e di futuro avvelenandosi con la droga e con l’alcol. In questi ultimi anni i tentativi di tutti coloro che hanno occupato la scena politica, promettendo di cambiare il corso fatale dell’economia capitalistica, sono miseramente naufragati. Obama sta per fare la fine di Zapatero che per tanti anni è stato il simbolo del riformismo socialista europeo.
Alcune conclusioni si possono già trarre.
1) La crisi economica investe l’intero mondo occidentale spingendo i governi al ricatto continuo delle agenzie di rating – che possono determinare a piacere il fallimento di un Paese -, gestite da poteri forti sopranazionali che le attuali politiche degli Stati, anche con le migliori intenzioni, non riescono a contrastare negli effetti più devastanti sul terreno sociale. I loro alleati sono i terroristi fiscali che chiedono continuamente riduzioni indifferenziate del sistema di tassazione e di prelievo pubblico.
2) Da quando la crisi economica ha cominciato a diventare una costante della vita politica nazionale fino ad assorbire completamente lo spazio del dibattito pubblico e riducendosi di volta in volta al tema dei tagli alla spesa pubblica sociale, sono cresciute enormemente le disuguaglianze sociali fino a creare nello stesso Paese uno scontro sotterraneo fra poteri forti, ceti della borghesia ricca, finanziaria e imprenditrice, e maggioranza della popolazione, fatta di ceti medio bassi e proletariato.
3) Le caratteristiche della crisi, che non possiamo qui esaminare, ma che sono oggetto ormai di tanta letteratura, implicano sicuramente una riduzione drammatica dell’occupazione delle nuove generazioni. Nonostante si prospetti sempre il ritorno della crescita economica, la realtà dice che, anche ove questa si verificasse, non ci sarebbe affatto nuovo lavoro.
Siamo dunque di fronte a una stretta epocale, perché da tutti i lati appare evidente che ciò che abbiamo davanti è il fallimento del modello produttivo occidentale, fallimento che coinvolge oramai anche gli aspetti esistenziali della vita individuale e collettiva. Il fatto storico della tragedia dei morti asfissiati nella stiva perché non riescono ad avere accesso nemmeno a un bene comune come l’aria, è una metafora della condizione in cui si trova la maggior parte delle popolazioni di questo pianeta. Ciò che colpisce è, come ha sottolineato Vanden Heuvel Katrina, che né la destra, né la sinistra sembrano capaci di ascoltare le voci che vengono dal mondo reale delle ragazze e dei ragazzi, dei protagonisti delle primavere africane, dei tumulti metropolitani, e dalle grida di sconforto che tanti fatti di morte e di violenza testimoniano.
Quanti giovani suicidi nelle ricche zone dell’Europa civilizzata, quanti bambini abbandonati nei cassonetti e, perché no, quanti aborti provocati dalla miseria e dall’insostenibilità di una vita senza prospettive? Una gran parte del pianeta rischia di essere asfissiata da terroristi fiscali assolutamente indifferenti all’esistenza delle persone che abitano le lande della nostra terra.
Non sono mai stato un sostenitore della schematica teoria della lotta di classe tra operai e capitale, ed è fuori discussione che essa non regge di fronte ai paradigmi della nuova società informatizzata, ma non c’è dubbio che siamo in presenza di una nuova lotta di classe fra chi difende privilegi e ricchezze, e chi non ha più nulla da sperare in un progresso sociale sempre promesso e mai realizzato.
Una nuova lotta di classe che taglia trasversalmente gli schemi tradizionali e che dovrebbe portare a una riclassificazione dei conflitti per renderli intelligibili e gestibili senza gli esiti catastrofici che possono derivare da ogni forma di violenza. Ma, come dice ancora Vanden Heuvel Katrina, la protesta si organizzerà dovunque spontaneamente, e non sarà tanto l’antipolitica a stimolare le nuove mobilitazioni, ma la disperazione profonda di chi non riesce più a dare senso alla propria esistenza, di chi non può cercare un compagno o una compagna con cui avere figli da affidare al futuro dell’umanità.
La nuova lotta di classe tocca profondamente il cuore delle nuove generazioni. Sono i giovani le vittime sacrificali su cui il vecchio mondo sta immolando tutto ciò che gli resta per ingraziarsi le divinità delle potenze monetarie. Sono i giovani la vera risorsa che può cambiare il corso degli eventi mettendo in causa l’energia nuova che nasce dalla spontanea attitudine alla creazione di nuove forme di vita, di convivenza e di lavoro.
Meloni ha recensito brevemente su Il Corriere della Sera un volume collettaneo, curato da Pino Ruggieri, sul tema della Chiesa dei Poveri. È vero, anche la Chiesa censura in parte il carattere epocale del conflitto tra poveri e ricchi che sta davanti ai nostri occhi. La verità, però, è che il problema è ancora più grave della stessa povertà economica. L’asfissia dei venticinque emigranti e l’enorme difficoltà dei bambini delle famiglie prive di reddito a respirare l’aria del mondo è un tema che va oltre ogni idea di caritatevole beneficenza. Qui si tratta di reagire a un vero e proprio furto della vita di chi cerca di uscire sulla coperta di questo transatlantico a rischio di inabissarsi. La lotta di classe oggi ha senso se diventa lotta per la vita, difesa della vita in ogni forma e in ogni condizione sociale.
Domani il sole sorgerà sempre fedele alla speranza degli uomini che il nuovo giorno sia più benevolo di quello passato. Le aurore della Zambrano ci hanno sempre abituato a seguire il sorgere del sole come un segno della natura che vuole garantire il futuro della specie. Il sole che deve sorgere domani spero che trovi tutti noi talmente preoccupati di ciò che sta accadendo che ciascuno penserà a prendere qualche iniziativa per dare un segno della possibilità di cambiare il nostro modo di vivere e pensare.