«La situazione di forte virtualizzazione della realtà produce una sindrome di derealizzazione. Quando il web passa dall’essere uno strumento per comunicare nella vita reale a uno strumento per comunicare la vita reale stessa, è chiaro che si crea una distonia tra il naturale e l’artificiale, tra il fisico e il virtuale, tra il simbolico e il corporeo. E questa disincarnazione dell’umano finisce per diventare, anziché una facilitazione della comunicazione interpersonale, un suo totale svuotamento». Il Professor Alessandro Meluzzi spiega nell’intervista a IlSussidiario.net, quanto sia vero l’allarme lanciato anche dal ministro della Salute Ferruccio Fazio, secondo cui Internet e i social network, in particolare Facebook, creano una forte dipendenza, che si esprime con sintomatologie simili a quelle che si osservano in soggetti dipendenti da sostanze psicoattive.



Quali sono nello specifico questi sintomi? «Passare davanti al computer più tempo che per qualsiasi altra attività, – continua a spiegarci Meluzzi –  preferire come forma di socialità la condivisione su Facebook nella sua stereotipia del “Mi piace”, perdere di vista i contatti interpersonali che non passano attraverso il web e soprattutto entrare in uno stato d’umore progressivamente disforico, chiuso e fondamentalmente malinconico”. Ma non tutto il mondo della Rete è uguale e il dito è particolarmente puntato sui social network, ritenuti più pericolosi: «Attraverso altri strumenti, come Google, si possono cercare diversi contenuti mentre, per esempio, con la posta elettronica si stabiliscono relazioni personalizzate. Facebook invece rappresenta quel prototipo in cui la comunicazione non ha un contenuto, ma consiste nell’entrare in una “second life” di vita virtuale abitata da icone invece che da persone».



Naturalmente i soggetti più a rischio sono i giovanissimi, quegli adolescenti che sono in grado di trascorrere davanti allo schermo del computer anche dieci ore al giorno. Ma quali sono i reali rischi che corrono le nuove generazioni? «Il social network diventa una rassicurazione perché previene perfino la fatica della telefonata. A finire tra le polemiche è stato prima il cellulare e la comunicazione stereotipata degli sms, che però è certamente più personalizzata, perché si decide di mettersi in contatto con una persona specifica da cui quindi ci si attende una risposta».

In che modo il social network è diverso? «In questo caso è come se si lanciasse una bottiglia nell’oceano senza sapere chi la raccoglierà e infine confondere queste bottiglie solipsistiche lanciate nella burrasca della comunicazione per dei veri messaggi».

Per uscire da questa vera e propria dipendenza, è in corso un dibattito scientifico riguardo al ricorso al trattamento farmacologico, su cui il parere del mondo scientifico è lontano dall’essere unanime: «Si può uscire da questa situazione – continua il Professor Meluzzi – valorizzando i rapporti interumani e progressivamente disassuefacendosi da questa condizione drogata della comunicazione. I rimedi farmacologici sono sempre individuali e personalizzati, e non si può mai parlare di trattamento farmacologico di un intero quadro sociologico come questo, per quanto patologico sia. In alcuni casi probabilmente una terapia anti depressiva potrebbe risultare utile, anche se sono sempre diffidente riguardo all’uso di farmaci specialmente nei giovanissimi».

In molti associano la dipendenza da Internet a quella da droga e alcol. È davvero possibile fare questo accostamento? «È molto diverso, – conclude Meluzzi – perché droga e alcol influiscono direttamente sul cervello,mentre qui c’è una mediazione simbolica, quindi è difficile fare un vero e proprio accostamento».  

 

(Claudio Perlini)