Domani riapproda in Aula, per la terza volta, il disegno di legge sul testamento biologico. Dopo un voto favorevole del Senato, il 26 marzo del 2009, è il successivo via libera della Camera, arriva, in terza battuta, in Commissione Sanità di Palazzo Madama. «C’è da sperare che sia l’ultima. Altrimenti, molto difficilmente il Ddl vedrà la luce entro la legislatura. Anzi, potrebbe non vederla del tutto», spiega Alberto Gambino, professore di Diritto privato e di Diritto civile presso l’Università europea di Roma contattato da ilSussidiario.net. Tra i punti che potrebbero essere oggetto, domani, di un dibattito, il momento in cui le volontà espresse nel biotestamento entrano in gioco. L’articolo 3 comma 6 del testo delle Dichiarazioni di trattamento anticipato, infatti, recita: «assumono rilievo nel momento in cui il soggetto si trovi nell’incapacità permanente di comprendere le informazioni circa il trattamento sanitario e le sue conseguenze, per accertata assenza di attività cerebrale integrativa cortico-sottocorticale e, pertanto, non può assumere decisioni che lo riguardino». Su cosa tale concetto tecnico implichi, nel dettaglio, non c’è ancora piena condivisione. In ogni caso, a tutti è evidente che il testo, così licenziato, scongiurerebbe definitivamente i rischi dell’eutanasia in Italia. Per questo, spiega Gambino, «è bene che la Commissione e, successivamente l’Aula lo approvino: siamo arrivati ad un livello di approfondimento del tema ed ad un tale numero di emendamenti, in gran parte migliorativi, infatti, che non vedo più i margini per ulteriori interventi; a meno che non siano peggiorativi». La situazione politica, del resto, non aiuta; «la maggioranza, in questo momento, ha molti problemi e potrebbe non essere interessata a farsi trascinare sul terreno di una battaglia etica». Due anni, in ogni caso, sembrano veramente troppi per approvare una legge: «ci sono stati, in parte, interessi contrari che hanno premuto per impedire il provvedimento; ma il motivo principale di una tale allungamento riguarda la delicatezza del tema». Le legge, secondo Gambino, di fatto mette al riparo da qualunque forma di eutanasia. «In questa legge – spiega – si dice, espressamente, che le uniche ipotesi di dichiarazioni anticipate ritenute valide per il domani, quando ancora il cittadino gode di buona salute, sono quelle che rifiutano interventi sproporzionati o sperimentali, qualcosa di molto simile all’accanimento terapeutico». 



Se approvata, risulterebbe una misura pioneristica: «Non conosco legislazioni che, su questo punto, siano altrettanto rigorose – afferma -. Altrove, nel momento in cui si stabilisce che si può stabilire oggi per il domani il rifiuto di una cura, lo si fa allargando il campo; nel ddl in esame in Senato il campo, invece, è estremamente ristretto». Questo è ciò che la legge consente. Altrettanto importante, è ciò che non consente. «Non è da sottovalutare il fatto che la legge non permetta di inserire, nelle dichiarazioni anticipate di trattamento, il rifiuto di alimentazione e idratazione. Non dimentichiamo che l’iniziativa parlamentare nasce dal caso Englaro; allora la giurisprudenza andò oltre i principi condivisi dalla nostra società e contenuti nel nostro ordinamento. Il provvedimento, quindi, non fa altro che riaffermare e sancire quanto già esisteva. In sostanza, un tribunale non potrà più decretare la morte di un’altra Eluana». 



 

(Paolo Nessi) 

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