Dov’è finito il femminismo? Dove sono le schiere di donne che protestavano a Siena pochi mesi fa, di fronte alla notizia dell’arrivo nella cultura occidentale della tanto giustamente esecrata mutilazione genitale femminile? Già, perché ormai, come denunciano vari mezzi di stampa, sta entrando nella moda di farsi amputare parti delle grandi labbra per renderle simili a quelle delle attrici pornografiche. Così spiega il quotidiano progressista The Independent del 24 agosto. Ci sono stati 2000 casi nell’anno 2010 presso ospedali pubblici inglesi, più un numero imprecisato in centri privati. “Alcuni studi – riporta il giornale – suggeriscono che la chirurgia della vagina possa ridurre la sensibilità e la attività sessuale”. Vi si trovano oltretutto recettori per gli estrogeni che sarebbero rimossi dalla chirurgia.
Sembra che l’influsso principe sia l’azione dei siti pornografici sull’immaginario femminile, nonché la pubblicità dei centri che eseguono queste procedure. La ricercatrice Sarah Creighton, dell’Elizabeth Garret Anderson Hospital di Londra, ha guidato uno studio a proposito di questo fatto pubblicato sul British Journal of Obstetrics and Gynaecology. E conclude che dato che non vi sono ragioni mediche per eseguire queste procedure chirurgiche, si tratta di motivi fondamentalmente culturali, dunque in poco dissimili dalle mutilazioni genitali che si attuano in Africa.
Si può obiettare che in quest’ultimo caso è una cultura maschilista che impone alle donne l’operazione; ma non vi sembra altrettanto maschilista una mentalità che fa sottoporre donne sane al bisturi per seguire canoni commerciali? E se si rischia che ne vada di mezzo la sensibilità sessuale, quale è infine la differenza? Non dimentichiamo che anche in Africa le donne intervistate dopo la chirurgia sessuale riferiscono di essere consenzienti, e non obbligate da qualcuno in particolare. E’ un fatto culturale. Proprio come qui. Ma forse seguire i canoni maschilisti pornografici è bene e solo la violenza africana è male? Colpisce il silenzio delle femministe.
Già un servizio della BBC del 2009 stigmatizzava il fenomeno per le possibili conseguenze al momento del parto o per la perdita di sensibilità sessuale, pur non essendoci studi a lungo termine. Si spiegava che il supposto senso di “parti in eccesso” era più un problema psicologico che fisico. Per questo colpisce il silenzio delle femministe: si parla di donne-oggetto solo quando va di moda, o se ne parla quando culturalmente vengono imposti modelli che finiscono col portarle dal chirurgo?
Nel 2004 sulla rivista Critical Review of International Social and Political Philosophy un noto filosofo si domandava se la chirurgia additiva del seno fosse davvero diversa eticamente dalle amputazioni sessuali africane, dato che nel primo caso si soggiacerebbe al bisturi per una perdita di autonomia culturale sociale quindi indiretta, e nel secondo per una perdita di autonomia culturale familiare, quindi diretta. C’è di che riflettere, per chi davvero vuole cambiare la cultura oppressiva sulle donne.