Le nascite, in Italia, tornano a calare. Lo dice il nuovo rapporto Istat che fra le sue varie voci ne mette anche una dal titolo “Come cambiano le forme familiari”. In questa voce si legge che le coppie coniugate con figli sono solo il 36,4% delle famiglie italiane, una su tre. Nel 1998 erano il 46,2%. Ma non solo: si legge legge anche che per la prima volta dal 1995 le nascite sono nuovamente in diminuzione. Nel 2009 sono nati 568.857 bambini, nel 2010 561.944, 15mila in meno.  L’Istat dice che il crollo è legato alle famiglie con tutti e due i genitori italiani, mentre le famiglie con almeno un genitore straniero di figli ne fanno ancora: nel loro caso le nascite sono in aumento. Aumentano poi le nascite nei nuclei familiari non sposati. E’ colpa della crisi che spaventa le famiglie? Per l’onorevole Luisa Santolini, deputato dell’Udc, non è assolutamente così: gli effetti demografici, infatti, non possono essere così immediati.
“La politica ha la lancetta dei minuti, la demografia quella delle ore. Gli effetti della crisi che stiamo vivendo li vedremo fra dieci anni, qui si parla di un arco temporale che va invece indietro di circa dieci anni e anche di più”. Eppure i commenti che si leggono sui media di questa situazione incolpano crisi economiche varie: “La questione è un’altra” dice l’onorevole. “La questione è che le famiglie italiane hanno smesso di fare figli perché non ci sono risposte alle loro attese. Le famiglie alla mancanza di politiche del lavoro hanno risposto tenendosi i figli in casa fino ai 35 anni, alla mancanza dei servizi hanno risposto mobilitando i nonni e al costo dei figli hanno risposto non facendoli”. Tutto così semplice? O esiste anche un atteggiamento culturale che identifica i figli come un sacrificio, un fastidio, una privazione di libertà?  “Se vogliamo possiamo definirlo problema culturale,  ma qui siamo davanti a una specie di corso di sopravvivenza per cui le famiglie hanno deciso di reagire a modo loro a una cultura dilagante che è  una cultura contro le famiglie”.
Un tempo però, anche in condizioni di mancanza di una politica per la famiglia, i figli si facevano, e tanti: “Questo è sicuramente vero e coincide con la perdita di alcuni valori tradizionali fondanti.  C’è oggi una sorta di edonismo della vita per cui bisogna divertirsi senza impegni e le responsabilità vengono assunte sempre più tardi. Si vive con paura una scelta di vita  definitiva che viene presa sempre più tardi”. Infatti il rapporto Istat rileva come nelle coppie non sposate si assiste a una crescita del numero dei figli: “Sì, ma sono tutti dati da studiare con attenzione. Dieci anni fa quasi non esistevano le coppie non sposate.  Tornando al discorso iniziale, se è vero che c’è un modello culturale nella nostra società che invita a non fare sacrifici e a chiudersi in un certo egoismo, mi si deve allora spiegare perché in Francia, dove le persone non sono certo tutte dei generosi votati al sacrificio, i figli si continuano a fare. Così anche in Germania. Si fanno perché in quei Paesi al contrario che da noi esiste una politica di sostegno della famiglia, per cui fare figli è un privilegio, un bene comune. Starebbero peggio se non facessero figli. In quei Paesi i figli non sono vissuti come un incubo, l’incubo di dover fare i conti con il portafogli”.



Dunque in Italia si va in direzione opposta: “Certo,  non si può avere l’alibi della realtà culturale o di certa politica che dicono che i nostri figli sono egoisti e mammoni e stanno a casa fino a 35 anni. Non si può dare la colpa alle famiglie o ai giovani o al fatto culturale. Questo è un alibi che io alla politica non lo concedo”. I dati Istat parlano poi delle famiglie degli immigrati come le uniche continuano a fare figli: “Sì, ma attenzione perché come hanno dimostrato studi demografici accurati gli immigrati che arrivano da noi inizialmente fanno più figli, poi si adeguano immediatamente alla nostra realtà e smettono di farli. Perché trovano le stesse difficoltà che hanno le nostre famiglie”. In conclusione? “I dati della attuale crisi li vedremo fra dieci anni, ma già adesso possiamo dire che siamo il Paese con la percentuale già inferiore al 50% di chi produce reddito. La popolazione che non produce reddito, quella cioè da 0 a 18 anni e quella ove 60, è già oggi superiore alla popolazione fra i 18 anni e i 60 che è quella che produce reddito”.

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