Troppo anziani per avere un figlio. Non per ottenerlo, perché questo è stato possibile grazie alla fecondazione assistita; ma per curarlo, accudirlo, farlo crescere. Questa, in estrema sintesi la motivazione con la quale il Tribunale dei minori di Torino ha dichiarato una bimba nata il 26 maggio del 2010 adottabile. Suo padre ha 70 anni, la madre 57. «Qualcuno ha consentito loro di effettuare un’operazione che, naturalmente, non sarebbe stata possibile. Il fatto che alcuni procedimenti in laboratorio abbiano reso possibile tali operazioni, ha fatto sì che si passasse dal “si può” al “si deve”», è il giudizio di Assuntina Morresi, membro del Comitato nazionale di bioetica che, interpellata da IlSussidiario.net commenta la vicenda. I due, Gabriella e Luigi De Ambrosis – lei è bibliotecaria, lui ex sindaco di un paesino del Monferrato – si sposarono nel ’90. Siccome la donna non riusciva a rimanere incinta, ricorsero per dieci volte alla fecondazione assistita, in Italia; tentarono anche, nel ’99 e nel 2003, la strada dell’adozione, ma gli fu rifiutata. Decisero di andare all’estero, dove Gabriella fu sottoposta all’operazione e nacque la bimba. Una creatura che, secondo i giudici è «frutto di un’applicazione distorta delle enormi possibilità offerte dal progresso in materia genetica». I magistrati addebitano alla coppia «il desiderio di soddisfare a tutti i costi i propri bisogni che necessariamente implicano l’accantonamento delle leggi di natura e una certa indifferenza rispetto alla prospettiva del bambino»; nonché una questione pratica: la piccola potrebbe rimanere orfana in giovane età, o trovasi costretta ad accudire i genitori che potrebbero ragionevolmente trovarsi preda di malattie invalidanti. «La questione è estremamente delicata, ed entrare nel merito, affermando che il giudice abbia fatto bene a dichiarare la bimba adottabile non credo che sia così corretto», afferma la Morresi. «Una bambina strappata ai genitori, infatti, rappresenta pur sempre un fallimento per la famiglia, e non è detto che rappresenti il suo bene». C’è il rischio, poi, che si crei un pericoloso precedente. «Esatto: mettiamo il caso – più unico che raro – che una coppia di età simile concepisca un figlio naturalmente. Forse il giudice dovrà toglierli la custodia della creatura? E potrà farlo anche nel caso in cui una donna affetta da una malattia invalidante diventi madre?». Il problema, quindi, è un altro, e sta alla radice.
«C’è da domandarsi come sia possibile che, in certe parti del mondo, la tecnica legittimi una situazione del genere in nome del desiderio di avere un figlio». E, proprio sui desideri “impazziti” sta il nocciolo della vicenda. «Il punto è che la tecnica ha indotto nelle persone dei desideri che prima, semplicemente, non esistevano. Oggetto di tali desiderio è l’avere un figlio, costi quel che costi». Il desiderio indotto dalla tecnica, poi, ha subito un ulteriore passaggio. «Si è iniziato a considerarlo un diritto – spiega la Morresi –. Ma non solo, del resto, avere un figlio a quell’età non può essere reputato un diritto, ma non può esserlo neppure avere un figlio. Esiste, infatti, li diritto a potersi formare una famiglia senza impedimenti, legali o di altro genere, ma l’avere un figlio rimane solamente un desiderio». Che rimane legittimo fino a quando attiene alla natura dell’uomo.
«Ovvero – continua – fino a quanto ne esistono le prerogative strutturali, costituite anche dai tempi e dai modi del concepimento. Quando si prescinde da ciò, si sorpassa l’essenza stessa dell’uomo, snaturandola». Ma oggi, quanto mai, il concetto di natura, nel senso di essenza, appare astratto e confuso. «Sarebbe necessaria una riflessione sul diritto naturale, per comprendere in cosa consista realmente la natura dell’uomo, cosa la completi o cosa la stravolga; perché non si continui a mescolare scienza, tecnica, natura, diritti e desideri come fossero parte di un’unità indifferenziata».
(Paolo Nessi)