Diciotto milioni di persone a rischio fame per la sentenza della Corte europea che blocca gli aiuti del Pead, il Programma europeo di aiuto alimentare agli indigenti. Quello cioè che solo in Italia garantisce circa il 60% dei beni distribuiti dal Banco alimentare. Martedì il Consiglio europeo si riunirà per discutere un nuovo provvedimento che tenga conto della sentenza della Corte, ma dia una risposta al problema della povertà sempre più diffusa in Europa.



Come spiega Marco Lucchini, direttore della Fondazione Banco Alimentare Onlus (FBAO), “il ricorso presentato da Germania e Svezia nasce dal fatto che il regolamento Ue in un primo momento prevedeva solo il ritiro dell’eccedenza agricola dal mercato e la sua distribuzione per finalità sociali. Nel 2008, con la crisi economica, la commissione ha compiuto un’integrazione in forma temporanea. Infatti erano diminuite drasticamente le eccedenze, in quanto era cresciuta la domanda e l’offerta era scarsa. E quindi la Commissione europea guidata da Barroso ha temporaneamente integrato con circa 300 milioni di euro aggiuntivi gli aiuti destinati al PEAD per supplire al drastico calo delle eccedenze alimentari, dovute proprio all’incremento della domanda di prodotti agricoli nel mondo in seguito a diversi fattori, dai programmi per le energie alternative (bioenergia) alla crescente richiesta di cibo da parte di Cina e India”. L’obiettivo era quello di consentire di acquistare sul mercato beni alimentari ad integrazione della minore disponibilità di eccedenze e rispondere in modo adeguato alla povertà crescente.



“Si trattava di un provvedimento temporaneo, inizialmente accettato da tutti, ma con il tempo sempre più avversato, in particolare, dalla Germania e dalla Svezia che hanno presentato un ricorso – spiega sempre Lucchini -. I tedeschi sostengono infatti che la povertà è un problema che ciascun Paese dovrebbe essere in grado di affrontare da solo. In pratica si opponevano all’idea di essere loro a pagare per la povertà del resto dell’Europa, per di più con i fondi della commissione Agricoltura”. Oltre a presentare ricorso, gli Europarlamentari tedeschi hanno polarizzato una “minoranza di blocco” che ha impedito la presentazione di una proposta di stabilizzazione dei fondi all’ordine del giorno, che pur teneva conto delle loro istanze. “Dopo la sentenza di maggio – spiega sempre Lucchini – è stato però evidente che il rischio di mettere alla fame 18 milioni di persone era altissimo. Quindi i Paesi favorevoli al mantenimento della cifra di 300 milioni di contributi aggiuntivi (e capofila di questi era l’Italia) hanno iniziato a fare pressioni per riaprire la discussione”.



La Polonia, il Paese che risente di più per questo taglio, dal primo luglio è alla presidenza Ue e ha deciso di mettere la nuova proposta all’ordine del giorno. La rilevanza di questa decisione è sottolineata anche dal fatto che questo dibattito sarà reso pubblico, in modo che tutti i cittadini dell’Unione si possano fare un’idea di chi è a favore e chi è contrario ai tagli al PEAD.

 

E se la tesi della Germania è che la povertà sia un problema dei singoli Paesi, per Lucchini “in un mondo ormai così globalizzato, con una crisi come quella che stiamo soffrendo tutti, speriamo che non vinca solo la norma, ma la ragionevolezza legata al fatto che la situazione peggiorerebbe notevolmente, innescando un serio problema di sicurezza sociale che di certo non aiuterebbe la ripresa economica”. Circa il 65% delle 75mila tonnellate di beni distribuite dal Banco alimentare è fornito del resto grazie ai regolamenti europei. In tutto 40mila tonnellate, contro le 10mila provenienti dalla giornata della Colletta alimentare e 25mila da industria, grande distribuzione e ristorazione.

“Il regolamento Ue era stato fatto inizialmente per aiutare gli agricoltori, in un’ottica sussidiaria – spiega sempre Lucchini -. L’agricoltura infatti è un bene vivo, la produzione è soggetta anche a fattori imprevedibili come ad esempio quelli di tipo climatico. Però è un bene necessario per la sopravvivenza dell’uomo: puoi smettere di produrre qualsiasi altro bene, ma avremo sempre bisogno di mangiare. Questi contributi Ue garantivano quindi che, se c’era una domanda inferiore all’offerta, i prodotti fossero ritirati dal mercato per mantenere un prezzo che soddisfacesse almeno in parte il reddito dell’agricoltura. In seguito, siamo arrivati a una produzione agricola più statalista, per cui nessuno Stato può produrre più di certi livelli per evitare gli sprechi. Nel 2008 per esempio c’è stata una grande riduzione della disponibilità di beni agricoli e così, quando è aumentata la domanda, l’offerta non è riuscita a salire di pari passo. Il vero statalismo quindi è quello di chi si oppone agli aiuti alimentari, e non di chi è a favore”.