E’ indimenticabile la tela di Caravaggio in San Luigi dei Francesi a Roma sulla vocazione di Matteo: la lama di luce che viene dall’esterno e unisce il gesto di Gesù a quello del gabelliere seduto al banco delle imposte è l’immagine più efficace della grazia di un incontro che cambierà subito e per sempre la vita di Matteo il pubblicano, di cui oggi si celebra la festa.



Meno conosciuta, ma altrettanto significativa la pagina del venerabile Beda che la liturgia propone a commento della sua figura e della sua opera. Essa insiste sui momenti più significativi della sua esperienza con Gesù: la chiamata del Signore e la pronta obbedienza di Matteo in primo luogo, e poi il banchetto offerto al Maestro, ai suoi compagni e ai colleghi di lavoro, biasimati dal popolo ebraico, perché usurai e asserviti al potere romano.



Dice dunque Beda in una delle sue omelie: Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: “Seguimi”. Vide non tanto con lo sguardo degli occhi del corpo, quanto con quello della bontà interiore. Vide un pubblicano e, siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: “Seguimi”, cioè imitami. Lo stesso Signore che lo chiamò esternamente con la parola, lo istruì all’interno con un’invisibile spinta a seguirlo. Infuse nella sua mente la luce della grazia spirituale con cui potesse comprendere come colui che sulla terra lo strappava alle cose temporali, era capace di dargli in cielo tesori incorruttibili.. Egli non si limitò a offrire al Signore un banchetto per il suo corpo nella propria abitazione materiale ma, con la fede e l’amore, gli preparò un convito molto più gradito nell’intimo del suo cuore. Lo afferma colui che dice: “Ecco sto alla porta e busso; se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”. Gli apriamo la porta per accoglierlo, quando, udita la sua voce, diamo volentieri il nostro assenso ai suoi segreti o palesi inviti e ci applichiamo con impegno nel compito da lui affidatoci. Entra quindi per cenare con noi e noi con lui, perché con la grazia del suo amore viene ad abitare nel cuore degli eletti, per ristorarli con la luce della sua presenza.



Matteo dunque divenne discepolo del Signore, a tal punto fedele che Gesù lo elesse come uno dei dodici apostoli, le colonne su cui poggia la Chiesa. Scrisse il suo Vangelo in aramaico, per sostenere la fede della prime comunità giudeo-cristiane. Poche le notizie certe della sua vita dopo la Pentecoste; pare che egli si sia diretto verso l’oriente e che sia morto forse in Etiopia. La Chiesa lo venera come martire e le sue reliquie sono conservate a Salerno.