Il conflitto tra tunisini, forze dell’ordine e cittadini, a Lampedusa, sembra aver travalicato i livelli di guardia. Dopo l’incendio di ieri al Centro di prima accoglienza, i migranti – sono ancore 1040 quelli rimasti sull’isola – non sanno dove stare, mentre i cittadini chiedono insistentemente che lascino al più presto Lampedusa. «E’ una situazione di tale esasperazione che, per uscirne, l’unica soluzione sembra consistere nel concedere all’isola una qualche sovranità in modo tale che vi approdi non possa considerarsi né in Italia né in Europa», ironizza Giancarlo Blangiardo, Docente di Demografia presso l’Università di Milano-Bicocca interpellato da ilSussidiario.net. ll problema è che le richieste dei lampedusani non si limitano al piano verbale. Agli scontri tra tunisini e polizia, infatti, hanno preso parte anche alcuni cittadini che hanno lanciato sassi contri gli immigrati.
Il sindaco Bernardino De Rubeis, dal canto suo, continua a lanciare appelli accorati: al premier, al ministro dell’Interno e al presidente della Repubblica, perché le promesse di sgombero dell’isola siano mantenute (ma ad oggi vengono trasferiti altrove solo cento immigrati al giorno). De Rubeis, interpretando il sentimento dei sui cittadini, ha denunciato, rivolto alle istituzioni: «Se hanno deciso che la nostra isola deve diventare un carcere a cielo aperto che lo dicano una buona volta». Poi, ha fatto sapere che d’ora in poi l’amministrazione accoglierà esclusivamente i profughi, status che non può esser conferito ai tunisini che, secondo il Primo cittadino, «arrivano da noi esclusivamente per motivi economici e non sono casi umanitari». Nel frattempo, alcuni dei manifestanti hanno fatto irruzione con tre bombole del gas al ristorante Delfino Blu, minacciando di farle esplodere, mentre qualche centinaia di questi protestava nei pressi di una pompa delle benzina caricati dalla polizia. Sembra uno scenario da guerra civile.
Anche se Blangiardo spiega che non bisogna lasciarsi ingannare dalle apparenze. «Non escludo che le proteste siano state amplificate oltremodo dai media. Certo, si tratta di un episodio da non sottovalutare. Tuttavia, non credo che siamo di fronte ad un allarme sociale di immane proporzioni».
Secondo Blangiardo, il nocciolo della questione consiste nell’ormai costante clima di tensione che si è venuto a creare sull’isola. «Abbiamo, da una lato, persone con una drammatica situazione esistenziale, gli immigrati, e dall’altra una popolazione che si è vista caricare, senza poter prender parte alla decisione, di una massa di stranieri enorme che ha scombussolato la loro quotidianità». In un tale scenario, basta un nonnulla per far scoppiare il caos: «è sufficiente – continua – che un immigrato compia qualche gesto inopportuno, come infastidire una ragazza, ed ecco che immediatamente scatta la scintilla».
Anche l’aggressione ai giornalisti (sono stati malmenati due inviati di Sky, alcuni dell’Adnkronos e un cameraman della Rai) va interpretata in quest’ottica: «non credo che ci sia un’ostilità marcata rispetto ai media, per le modalità con cui presentano il fenomeno immigratorio. Penso, piuttosto, che rappresenti un altro dei momenti di esasperazione della popolazione. Che se l’è presa, in quegli istanti, con chiunque capitasse a tiro». Il governo e le istituzioni, dal canto loro, in realtà non si stanno limitando ad assistere inermi: «ci saranno responsabilità oggettive, di certo, legate all’inefficienza dell’apparato statale.
Tuttavia, il governo sta procedendo effettivamente con i rimpatri. Ma ad un ritmo inferiore rispetto alle aspettative. Il che, dipende da problemi oggettivi di natura procedurale e burocratica. Nonostante gli accordi presi, infatti, rimandare a casa i cittadini di quei Paesi che non hanno diritto allo status di profugo si sta rivelando più complicato del previsto». Non è tutto: la matematica gioca a sfavore degli isolani: «mentre si effettuano i rimpatri, arrivano – condizioni del mare permettendo – nuovi immigrati».
Battute a parte, «l’unica vera soluzione – spiega – consiste nel continuare a procedere con i rimpatri. Non solo per liberare l’isola, ma anche per lanciare un segnale deterrente a quegli Stati dai quali continuano a provenire gli immigrati. E’ necessario far capire loro che i soldi e le risorse investite nel viaggio saranno andate a vuoto, perché una volta giunti in Italia dovranno tornare indietro».