Il Tribunale civile di Palermo ha stabilito che la strage di Ustica in cui, il 27 giugno dell’80, persero la vita le 81 persone a bordo del Dc9 fu provocata da un missile o da una semicollisione con un aereo non identificato. La sentenza, con tanto di obbligo di risarcimento, è stata depositata il 12 settembre, oggi le motivazioni; tuttavia, dopo 31 anni, non ci sono ancora nome e cognome dei colpevoli. Strano «Secondo la mia ricostruzione e quella della mia collega di Palermo, mi pare che un certa idea sulle modalità dell’incidente sia emersa. Tuttavia, coloro che hanno protetto il segreto – salvo Cossiga -, credo che tendano ancora a conservarlo»: a parlare così, interpellato da ilSussidiario.net, è Rosario Priore giudice istruttore, che già il 31 agosto del ’99 affermò, in una sentenza, che l’incidente avvenne in un contesto di guerra tra aerei militari. Un episodio destinato a rimanere, probabilmente, ancora per molto tempo avvolto dal mistero. Sta di fatto che il ministero della Difesa e quello dei Trasporti sono stati condannati a risarcire con 100 milioni di euro 81 familiari delle vittime. Secondo il Tribunale, infatti, da parte delle istituzioni italiane, ci sono stati, negli anni omissioni, negligenze e depistaggi. Non vi fu, soprattutto, alcuna bomba. In molti, per anni, sostennero e sostengono ancora che fu un ordigno lasciato nella toilette da un terrorista a causare la caduta del velivolo. La porzione di aereo rinvenuta, in cui si sarebbe dovuta trovare la bomba, non presentava, tuttavia, i segni, le bruciature e le deformazioni di una deflagrazione. «Resta da capire – spiega Priore – se alla sentenza sarà data immediata esecuzione o se sarà impugnata. Conferma, in ogni caso, l’impianto accusatorio dell’istruttoria che si concluse con la mia sentenza del ’99». Una differenza, che a seconda dei punti di vista può apparir di poco conto o decisiva, è la provenienza dei jet. Secondo quanto riferito oggi dai media, si trattava di aerei Nato. Priore parla, invece, di «aerei francesi. Anche perché, del resto, l’Alleanza atlantica ci ha sempre aiutato». Non sono meno significativi alcuni punti in comune: «secondo la diverse ipotesi fatte fino ad oggi, è emersa la volontà di proteggere un segreto; un segreto di Stato, probabilmente», afferma Priore, parlando della sua inchiesta e specificando che, in realtà, i segreti in ballo fossero più di uno.



«Sembrava che la responsabilità fosse della Francia, un paese amico e alleato, con cui avevamo intensi rapporti. Non si poteva, quindi, accusarla sic et simpliciter. C’era un segreto, inoltre, riguardante i “buchi” della rete radar NaDge (la rete radar della Nato ndr). Gli aerei libici, infatti, entravano e uscivano dai cieli dell’Europa senza alcuna limitazione, come e quando volevano; si erano scavati una serie di “corridoi” nel sistema di rilevamento grazie a qualcuno che gli aveva fornito le informazioni necessarie». Il perché del trattamento privilegiato è facilmente intuibile. «Oltre ad avere ottimi rapporti con la Francia, facevamo affari con la Libia e in molti avevano l’interesse a mantenere  buoni legami di amicizia».



Qualcuno, quindi, da sempre è a conoscenza di come siano andate realmente le cose. «I detentori di un tale segreto potevano essere i servizi segreti e alcuni ufficiali militari. Oltre a Cossiga che ammise di aver sempre saputo come fossero andati i fatti, e imputò l’accaduto ad un aereo francese»; secondo il presidente emerito, un velivolo proveniente da Parigi tentò di abbattere un aereo libico in cui si pensava viaggiasse Gheddafi ma, semplicemente, sbagliò mira. 

 

(Paolo Nessi

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