Con la sua gentilezza ha ferito, ha inciso ancora. Senza suonare fanfare si è inoltrato nel folto del bosco. Con la sua mitezza ha spinto chiunque non si ripari dietro a pregiudizi banali a pensare. Nell’epoca della crisi e di toni accesi, il piano parlare di papa Ratzinger tocca i veri nervi scoperti. Mentre molti sono i segni di malora, di smarrimento e di vera e propria disperanza, il sorriso semplice di Benedetto si fa largo fino a mettere in questione due o tre capisaldi del pensiero dominatore. Verrebbe da dire che dal cuore d’Europa, dalla Germania, proprio nel momento in cui infuria una crisi economica e politica che investe la stessa sopravvivenza dell’Unione europea come architettata fin qui, arriva un segno importante. Arrivano parole che non lasciano tranquillo nessuno.
Sedendosi e parlando al Bundestag, il parlamento federale tedesco che mai aveva ospitato un papa, Benedetto ha ribadito in modo non solo simbolico uno degli elementi di centrale rilevanza della sua elezione: il nesso tra grande cultura tedesca e Roma è l’asse principale su cui edificare l’Europa. Gli eredi della grande tradizione filosofica, musicale, filologica, industriosa tedesca e quelli della calda, esplosiva, vivacissima e caritativa romanità cattolica sono chiamati a ricostruire sulle ceneri della esausta Europa dei Lumi e dei bancomat. La linfa che può venire da una ripresa di un’asse teutonico-cattolico di cultura ardente, aperta, profonda, fiorita, verticale, contro l’autismo post-post-moderno.
Sì, in sintesi mi pare che il Papa stia cercando di scuotere l’Europa da una specie di autismo a cui è arrivata per la pretesa di una cultura dominante di auto-fondare e auto-determinare il fenomeno umano. Dunque il Papa in questa occasione ha centrato i problemi di fondo: da un lato la riduzione positivista della ragione, che conduce all’esclusione di Dio e alla sottovalutazione di gran parte della cultura e del fenomeno umano, e dall’altro la pretesa della politica e del diritto di autofondarsi. Con coraggio e anche un filo di ironia il Papa si è soffermato – nel paese che ne è stato culla politica – su una idea di ecologia che riprenda un corretto rapporto dell’uomo con la natura e con la propria natura. C’è una evidenza, ha detto il Papa, che un pensiero positivista elude: l’uomo non si crea da solo. Occorre obbedire alla natura, al suo linguaggio.
Con ferma ironia il Papa si è detto lontano dal fare qualsiasi campagna di tipo politico, ma ha notato che il nascere di partiti ecologisti spesso animati da giovani siano un segno di richiamo. Che va preso sul serio e però portato fino a intendere una reale ecologia umana, attenta a intendere l’uomo interamente. E l’errore della mentalità positivista è quello di considerare sottocultura tutto ciò che esprime (anche confusamente come un certo giovanile ecologismo) la necessità che l’uomo consideri il suo legame vitale con altro da sé.
A causa del prevalere di una mentalità positivista sono stati bollati come “irrazionalismi” le culture, i movimenti, le istanze che non rientravano nello stretto cerchio della mente ridotta così – secondo una metafora benedettina – a un edificio di cemento armato chiuso che si dà clima e luce da sola senza aprirsi più al linguaggio vero della natura. Il Papa toccando poi in prospettiva anche storica i guasti provocati dall’ideologia e dalla illusione di fondare la verità sul riconoscimento della maggioranza ha invitato i politici a difenderci dall’ingiustizia e a cercare la verità che fonda il diritto. Il diritto vigente, in molti casi del passato come durante il nazismo o del presente, può essere infatti ferrea, tetra ingiustizia.