Per Sabrina e Cosima Misseri, accusate dell’omicidio di Sarah Scazzi, la 14enne di Avetrana scomparsa quel tragico 26 agosto 2010 e ritrovata morta in un pozzo il 6 ottobre, la Procura della Cassazione ha chiesto la conferma dell’ordinanza di custodia cautelare. Vito Monetti, sostituto procuratore generale della Cassazione, ha chiesto che madre e figlia rimangano nel carcere di Taranto dove sono detenute nella medesima cella. Monetti ha domandato che vengano rigettati tutti i ricorsi presentati dai legali delle due donne e che restino in cella sia in merito all’accusa di omicidio che a quella di sequestro di persona. Il Tribunale della Libertà di Taranto il 20 giugno 2011 e il 7 luglio 2011 aveva emanato due sentenze in cui disponeva il fermo anche in relazione a questa seconda accusa. Nel chiedere che tali disposizioni venissero confermate, la Procura ha espresso, tuttavia, alcune perplessità in merito alla ricostruzione dell’omicidio. Dal canto loro i legali di Sabrina si sono detti convinti che il suo alibi sia «consacrato da una serie di telefonate che lei aveva in corso per organizzare una gita al mare: i tabulati certificano queste chiamate nei momenti in cui, secondo l’accusa, veniva uccisa la povera Sarah Scazzi».
Franco Coppi, avvocato della ragazza, ha detto che tutto quelli che poteva esser portato in tribunale per dimostrare l’innocenza dell’imputata è stato portato. Resta, a questo punto, da attendere solamente la decisione della Cassazione che dovrebbe arrivare in serata o, al più tardi, domani. L’udienza, celebratasi presso la Prima sezione penale della Cassazione, è durata cinque ore. In questo arco di tempo sono state necessarie alcune interruzioni. Non si trovava più, infatti, un ricorso presentato dalla difesa che era rimasto in cancelleria. Qualcuno si era dimenticato di allegarlo ai fascicoli del Pg e del della relatrice Margherita Cassano. E, mentre si dibatte sulla permanenza o meno in carcere delle due accusate, dalle stesse celle giunge li contenuto di una delle detenute, Vincenza A, che ha voluto leggerla nel corso della cerimonia in cui sono stati consegnati gli attestati di frequenza per un corso da parrucchiera tenuto in carcere. Vincenza si è rivolta al mondo che sta al di là della cinta di protezione. Chiedendo di non credere a quanto viene detto sulle carceri. Qualcuno si indigna perché i detenuti hanno «anche la tv» ma, ha spiegato, è l’unica cosa che hanno.
«Quando leggete sui giornali che “quel delinquente era libero grazie alle scarcerazioni facili, ragionate sul difficile lavoro dei giudici e pensate che, per un detenuto premiato che torna a fare un reato, ce ne sono altri cento che lavorano onestamente e di cui nessuno parla». Secondo la donna, il problema è che raramente si dà spazio sugli organi di informazione a quanto accade realmente i una prigione. Certo, si discute di incertezza della pene, sicurezza, delinquenza. Ma nessuno, è la sua opinione, che mai racconti «le umiliazioni, il duro lavoro dei poliziotti penitenziari, i diritti assicurati, quelli negati».
Vincenza, poi, ha invitato a leggere gli avvenimenti con occhio critico, andandosi a cercare le notizie che realmente corrispondono ai fatti e a non lasciarsi sopraffare dai pregiudizi. «Una vita senza pregiudizi e aperta agli altri è più bella per chi vi sta attorno. Ma anche per voi stessi». La donna, infine, si è rivolta direttamente la mondo del giornalismo, invitandone gli addetti a scoprire il suo, di mondo: «Entrare nel carcere è una grande opportunità per voi giornalisti, perché fare una informazione corretta sulla “città perduta” è molto difficile, ma trovarsi direttamente sul campo è un’esperienza impagabile oltre che molto formativa».