“Omnia videas, multa sileas, pauca corrigas”: Osserva tutto, taci molto, correggi poco. E’ questo un consiglio del santo di cui oggi la Chiesa fa memoria, papa Gregorio Magno. E’ un invito che giova in molte situazioni, in famiglia, al lavoro, nella vita sociale e perciò risulta particolarmente prezioso, anche  se viene da un uomo vissuto un millennio e mezzo fa.



Nacque verso il 540 da famiglia senatoria e a 25 anni fu eletto prefetto di Roma, ma poiché amava la vita monastica e in particolare quella benedettina, trasformò i propri possedimenti sul Celio in luoghi di preghiera e di studio. Papa Pelagio lo inviò verso il 579 a Costantinopoli, dove rimase sei anni, stimato da tutti. Tornato a Roma si ritirò ancora sul Celio, ma la sua vita non doveva svolgersi tra le mura di un chiostro: nel 590 l’insistenza del clero e del popolo romano lo chiamò ad essere sommo pontefice.  La città era allora colpita da una grave pestilenza: Gregorio si adoperò con preghiere pubbliche e con opere di assistenza. Una leggenda vuole che durante una processione apparve l’arcangelo Michele mentre riponeva la spada nel fodero, segno della fine dell’epidemia: da allora la tomba di Adriano venne chiamata Castel Sant’Angelo.



Gregorio fu, da vero romano, molto abile nelle relazioni con i popoli barbari e in alcuni casi li convertì al cattolicesimo, come avvenne con i Visigoti, i Longobardi, gli Angli, questi ultimi affidati allo zelo di Agostino di Canterbury. Ebbe anche ottimi rapporti con i Franchi.

Amministrò con oculatezza il patrimonio di san Pietro, riorganizzò un territorio devastato dalle invasioni, eliminò la servitù della gleba, favorendo l’insediamento di coloni.

Tutta questa attività di governo non lo strappò alla preghiera e allo studio della Bibbia. Ne sono testimoni i numerosi scritti, che spaziano dall’esegesi come i libri su Giobbe, alla pastorale, con la Regola pastorale, all’agiografia con la Vita di san Benedetto, il suo grande maestro. Infine si deve a lui la prima raccolta sistematica del canto cristiano e della musica che accompagnava la preghiera liturgica. Essi rimangono fino ad oggi come un tesoro a cui si attingono le gemme per la lode di Dio e non a caso questo canto liturgico, pieno di gravità e di gioia austera ha preso da lui il nome di canto gregoriano.



Nell’omelia su Ezechiele che il breviario assegna alla sua festa egli, consapevole di quanto sia diversa la vita del pastore di Roma da quella silenziosa del monaco che avrebbe voluto vivere, esclama: “Che razza di sentinella sono dunque io, che invece di stare sulla montagna a lavorare, giaccio ancora nella valle della debolezza?”, assorbito cioè dalla faccende del mondo. Ma è solo per ringraziare Chi dona alla sua indegnità l’elevatezza della vita.