“L’aiuto alimentare è indispensabile. Non sono mai esistite società dove non ci siano stati mendicanti, mentre sono esistite società dove nessuno se ne occupava. Dal cristianesimo in poi l’accoglienza alla mensa è stato un modo per testimoniare una civiltà nuova. Se ora si decide di non occuparsene più è un segnale di inciviltà”. Lo afferma il direttore della Fondazione Banco Alimentare Onlus, Marco Lucchini, commentando i dati Istat da cui emerge un drastico calo dei consumi alimentari, cui si aggiunge il commento della Cia (Confederazione italiana agricoltori) per la quale nei primi sei mesi del 2011 l’acquisto del pane è crollato dell’8,5%, quello del pesce del 4,8%, la carne rossa del 3,2%, la frutta del 2,7% e la pasta dell’1,6%, mentre sono sempre più numerose le persone che scelgono gli hard discount invece degli ipermercati per risparmiare sui generi di prima necessità.
Come commenta i dati emersi in questi giorni, secondo cui nel primo semestre 2011 i consumi alimentari delle famiglie italiane sono diminuiti in modo drastico?
Non è una novità, ormai sono almeno due anni che i consumi alimentari si sono prima fermati e poi sono calati. Il fatto che ora non solo si riducono i consumi in generale, ma calano quelli dei beni più tipici del paniere alimentare italiano, è veramente un fatto preoccupante. La domanda di beni alimentari infatti è anelastica, cioè come non sale all’aumentare del reddito così non dovrebbe diminuire al suo decrescere. Anzi spesso accadeva che qualche piccola soddisfazione che non ci si poteva più prendere con spese futili, veniva compensata da qualche sfizio alimentare.
Se ora che siamo in un momento di crisi si riduce la spesa per il cibo, è un segnale del fatto che si ritengono più necessarie altre spese. Occorrerebbe confrontare le spese per alimentari con altri consumi come i telefoni cellulari e i vestiti. Potrebbe infatti emergere un fenomeno nuovo nella storia della nostra società italiana, che andrebbe sinceramente studiato.
Quello che sta avvenendo è solo un cambiamento delle abitudini alimentari e di acquisto, o un pesante impoverimento delle famiglie?
Il cambiamento delle abitudini alimentari è già avvenuto da anni. Dai dati emerge che le persone cercano il prezzo più basso per lo stesso prodotto, piuttosto che a cambiare la scelta dei prodotti. E questa è una scelta di economia familiare. Il reddito è praticamente rimasto uguale quando le cose vanno bene, mentre è diminuito nei casi in cui c’è stata la perdita del posto di lavoro da parte di uno dei due coniugi, o i due coniugi si sono separati. Mentre il costo della vita è cresciuto, anche se meno per gli alimentari che per altri generi di consumo. E’ un dato che preoccupa, perché probabilmente una famiglia preferisce mangiare meno piuttosto che rinunciare a ricaricare il cellulare. La domanda che ci si deve porre quindi è la seguente: oltre che più poveri siamo anche meno capaci di affrontare momenti nei quali occorre badare all’essenziale? Quest’ultima del resto è la povertà più pericolosa, non saper discernere.
Quali sono le cause del progressivo impoverimento delle famiglie italiane?
E’ facile identificarne l’origine nella crisi che ha colpito il mondo intero dal 2008, ma questo non basta a spiegare a fondo il significato di quanto è avvenuto. La malattia che ha portato alla crisi è la folle cultura della rendita. Non è solo nella testa dei finanzieri o dei politici, ma ormai spesso è entrata nel pensiero di operai e impiegati. La prima preoccupazione è ottenere il massimo delle garanzie per sé, senza tenere conto del fatto che invece oggi sarebbe meglio saper rinunciare a qualcosa per favorire, ad esempio, le prospettive per i giovani di lavorare e investire nel futuro.
Il fatto che poi i giovani non si sposino e non facciano figli è il segnale del fatto che si tende a pensare al presente, a godere della rendita ottenuta magari grazie al sudore di altre persone, senza sentire la necessità di fare qualcosa per il futuro perché non c’è nulla che sproni a farlo. Non ditemi che oggi i giovani non si sposano per motivi economici, perche solo 50 anni fa ci si sposava anche se si era molto più poveri di adesso e la natalità era più alta.
Certo, ci sia accontentava del necessario e l’impegno del mantenere una famiglia stimolava i coniugi ad aumentare la loro capacità di trovare nuove fonti di guadagno o di evitare le spese inutili, scegliendo di risparmiare. Così abbiamo costruito un Paese che da Terzo mondo è diventata una delle potenze economiche mondiali. Se il “carpe diem” diventa il fine della vita è anche la fine di una civiltà. Questo è il fattore originale che ha portato a questa crisi economica e a un ulteriore impoverimento delle fasce più deboli.
Ritiene che queste statistiche documentino l’importanza di non bloccare gli aiuti dell’Unione europea al Pead?
Sicuramente se scendono i consumi come segnale di una minore capacità di acquisto, questo incide ancora di più per chi già aveva poco da spendere. Ma l’aiuto alimentare è indispensabile. Non sono mai esistite società dove non ci siano stati mendicanti, mentre sono esistite società dove nessuno se ne occupava. Dal cristianesimo in poi l’accoglienza alla mensa è stato un modo per testimoniare una civiltà nuova. Se ora si decide di non occuparsene più è un segnale di inciviltà.
In che modo la politica può e deve intervenire, in un’ottica sussidiaria, per evitare che le famiglie italiane ed europee cadano sotto la soglia di povertà alimentare?
Innanzitutto preoccupandosi di investire nello sviluppo e recuperando risorse dal taglio delle rendite. Occorre inoltre ridurre la burocrazia, altra fonte di rendita, selezionare le eccellenze e sostenerle economicamente o con evidenti vantaggi fiscali. Questo vale anche per le realtà non profit. È venuto il momento di sostenere davvero chi dimostra di saper moltiplicare a favore del bene comune gli aiuti ricevuti. E di tagliare i contributi a chi al contrario pretende di essere mantenuto dalla Stato.
La tendenza italiana registrata dai dati Cia è analoga a quanto sta avvenendo in altri Paesi europei?
Sicuramente in Paesi come Francia e Germania o nei Paesi del Nord Europa le politiche a favore della famiglia sono molto più avanzate ed economicamente vantaggiose. E in questa crisi rappresentano un importante sostegno per le fasce deboli. Mentre i Paesi dell’Est sono ancora troppo instabili e giovani per poter essere confrontabili con le Nazioni della vecchia Europa come l’Italia.
(Pietro Vernizzi)