Un tempo era l’alternativa al servizio militare. Adesso che questo non è più obbligatorio, il servizio civile rimane possibilità di impegno in vari ambiti per l’utilità comune per chi ne fa richiesta di svolgimento. A fare tale richiesta è stato recentemente anche un giovane pachistano, residente in Italia da circa quindici anni, ma ancora privo di cittadinanza, che in prima istanza si è visto rifiutare la sua domanda presentata tramite la Caritas. Il giovane però ha fatto ricorso, ricorso che è stato ottenuto grazie all’intervento di un giudice che ha motivato la sentenza spiegando che il servizio civile è un diritto-dovere anche per gli stranieri, seppure non in possesso di cittadinanza italiana. Il giudice ha anche detto che il bando di servizio civile così come oggi è formulato, è di carattere discriminatorio e ha ordinato alla Presidenza del consiglio dei ministri, ufficio nazionale per il servizio civile, di sospendere ogni altra procedura di selezione e di modificare il bando stesso. “Normalmente il concetto di cittadinanza” ha spiegato a IlSussidiario.net il professor Blangiardo “è un fattore discriminante e che viene applicato con eccessiva rigidità”. Per Blangiardo, il caso in questione invece rappresenta una applicazione del buon senso nonché un importante segnale di integrazione.
Professore, la sentenza sul caso del giovane pachistano dice fra le altre cose che ai cittadini stranieri residenti in Italia deve essere esteso “il dovere di difesa della Patria quale dovere di solidarietà politica, economica e sociale”. Cosa ne pensa?
Il concetto di difesa della Patria presuppone un discorso sulla Patria e quindi chiedersi cosa sia la Patria: una cosa legata alla cittadinanza o è una questione di residenza? Chi deve difendere l’Italia, chi ci vive o chi ha la patente e il passaporto?
Quindi ritiene questa una motivazione giusta.
Mi distaccherei dalla sentenza in senso stretto, i giuristi motivano quello che fanno nelle sentenze un po’ come sembra giusto a loro. Al di là delle argomentazioni giuridiche io ne farei invece una questione di buon senso. Ritengo che letta in questi termini e quindi con il buon senso questa scelta di consentire a chi vuole di svolgere una funzione di attività collettiva e lo vuole fare con un passaporto dove non c’è scritto Repubblica italiana, i cittadini con il passaporto italiano non possono che dire grazie e benvenuto fra di noi.
Siamo comunque davanti a una nuova riproposizione del dibattito sulla cittadinanza agli stranieri.
Di solito la cittadinanza è una discriminante e uno dei grossi limiti della legge sulla cittadinanza e anche dei modi con cui la si applica è una eccessiva rigidità che a volte sfiora la mancanza di buon senso.
In che senso? Possiamo fare un esempio?
Prendiamo il caso del bambino o della bambina di 5 o 10 anni che vogliono entrare nella squadra italiana di pallavolo, ma non lo possono fare perché sono, diciamo, pachistani. Basterebbe che la federazione italiana di pallavolo dicesse che nella nazionale ci possono andare, almeno per le giovanili, le persone che risiedono in Italia e ogni discussione finirebbe lì.
Come diceva, mancanza di buon senso pratico.
Una mancanza di buon senso che crea un problema enorme ancorandosi dietro a un principio che tutto sommato non ha nessun effetto di utilità collettiva.
Mentre invece il servizio civile presuppone proprio una utilità collettiva.
Nel caso in questione direi che stiamo bypassando quella che dovrebbe essere la linea di demarcazione della cittadinanza. Un discorso che non avrebbe avuto senso ad esempio sarebbe stato quello di dire il servizio civile è l’equivalente del servizio militare, ma il servizio militare è qualcosa che è riservato al cittadino quindi il servizio civile non lo può fare lo straniero.
Invece?
Invece il ragionamento è: il servizio civile è una questione di utilità presso il Paese in cui uno è radicato, interagisce e risiede e quindi che sia italiano o straniero chi se ne importa della cittadinanza. Dunque se vuole farlo che lo possa fare.
Una sentenza dunque che apre spiragli.
Se vogliamo è un segnale importante, anzi direi molto importante, di integrazione perché vuol dire mettersi a disposizione della collettività, una collettività che si riconosce come quella tra virgolette dei fratelli d’Italia. Non è cioè l’idea che tutti devono avere un passaporto, ma condividere l’idea del diamoci una mano fra di noi.