Adriano Soffri da oggi è di nuovo libero. L’ex dirigente di Lotta Continua, in carcere perché condannato quale mandante dell’omicidio del commissario Calabresi, ha finito di scontare la sua pena. Condannato nel 1997 a 22 anni di reclusione, ne ha in realtà scontati quindici, ma grazie a un dispositivo speciale consentito in caso di buona condotta ha goduto di una riduzione della pena. Dal 2007 Sofri, poi, godeva degli arresti domiciliari, in seguito a problemi di salute (soffre di un morbo molto particolare che comporta la riduzione dell’esofago), mentre dal 2005 aveva goduto del permesso di lavorare all’esterno del carcere. Si occupava dell’archivio della Scuola Normale di Pisa. Il caso Sofri ha diviso e continua a dividere ancora oggi quanti hanno vissuto la stagione storica degli anni 70: all’ex leader di Lotta Continua viene imputato infatti di aver organizzato l’uccisione del commissario Calabresi, giudicato dagli ambienti di estrema sinistra colpevole della morte dell’anarchico Pinelli. Per Paolo Liguori, direttore del Tgcom e negli anni 70 anche lui appartenente a quell’area politica, con la scarcerazione di oggi “si chiude la faccenda Sofri dal punto di vista legale, ma rimane aperto un punto preciso”. E cioè, sostiene Liguori, che non si sia mai potuto provare la reale colpevolezza di Adriano Sofri. “Nessuno nega che il clima da cui è scaturito l’omicidio Calabresi” aggiunge Liguori “sia scaturito in quegli ambienti politici di sinistra, ma rimane il fatto che nessuno ha mai provato che Sofri fosse davvero il mandante”.
Liguori, con la scarcerazione di Adriano Sofri si chiude un periodo della storia italiana o rimangono ancora punti da chiarire?
Direi che di punti aperti ne rimangano parecchi. Su questa vicenda c’è sempre stata una profonda differenza di vedute. Sofri ha sempre professato la sua innocenza e nonostante ciò è stato condannato come mandante insieme a Pietrostefani. Condannato come tale senza che l’accusa sia stata dimostrata: per chi ha seguito i processi questo è un punto che rimane aperto.
Conoscendo Sofri, pensa che si lascerà la vicenda alle spalle o proverà a riaprirla?
Ha chiesto in passato diverse volte la revisione del processo e gli è sempre stata rifiutata. Oggi è libero per fine di una pena che lui ha sempre sostenuto di aver scontato ingiustamente. Personalmente sin dall’inizio ho sempre sostenuto che lui avesse molte ragioni in questo senso.
Dell’intero caso processuale invece che giudizio ha?
Cè da distinguere. Prima di tutto la vicenda Calabresi, una vicenda di cui si è detto tutto. E’ stata restituita alla memoria del commissario la dignità e l’onore che meritava. Anche ai familiari mi sembra sia stato riconosciuto quanto meritavano e cioè il rispetto e la pietà di tutti e anche la giusta ricostruzione storica della figura del commissario. Per quanto riguarda invece le verità processuali io ho sempre sostenuto l’innocenza di Sofri e rimane aperto un preciso punto di dubbio. Adesso la vicenda si chiude perché quando il condannato sconta la pena la cosa è finita.
Un paio di anni fa Sofri ha detto che per quanto innocente sul piano delle accuse a lui rivolte, si sentiva comunque corresponsabile del clima che aveva generato la morte di Calabresi.
Questa di Sofri è una dichiarazione di onestà. Nessuno nega quel clima, ma le prove che Sofri sia stato il mandante non ci sono. C’è stato un pentito che si è accusato di aver partecipato al delitto e non ha fatto neanche un mese di carcere. Io posso credere che il delitto di Calabresi sia maturato in quell’ambiente, anzi sono sicuro che il clima in cui fu ucciso Calabresi poteva provocare queste cose terribili, questi orrori. Non solo Sofri dunque: chiunque ha partecipato a quella parte storica si deve ritenere responsabile quanto Sofri.
Oltre al caso Sofri rimangono aperte altre vicende di quell’epoca ad esempio il caso Cesare Battisti. Cosa andrebbe fatto secondo lei per chiudere questo periodo, per una vera pacificazione?
Fermo restando che non si possono mettere nel modo più assoluto sullo stesso piano Adriano Sofri e Cesare Battisti, direi che la politica non ha mai voluto né cercato questa pacificazione. La politica non ha trovato la forza di fare questa pacificazione come non ha trovato la forza di fare tante altre cose. Ad esempio in tema di giustizia: sono anni e anni che la politica non trova la forza di fare alcunché o quasi nulla.